Frullati di parole che non portano da nessuna parte

Nella lettera “Lo studio affidato all’architetto: solita storia?“ ("Carlino Pesaro", 15 gennaio, p. 13) firmata "Anonimo pesarese", si legge: "Di progetti ce ne sono fin troppi, quello che non c’è, che è difficile trovare, ma chi è bravo ce la fa, sono i finanziamenti".

Giusta osservazione, perché senza soldi ogni proposta mirante a risolvere questioni urbanistiche è soltanto chiacchiera. Anonimo continua: "Da almeno un anno ci andiamo ripetendo come un rosario che stiamo vivendo tempi nuovi e impensati, che ci aspetta un mondo nuovo, una società piena di aspirazioni verso le cose che veramente contano, ma continuiamo a muoverci come nel 2010. Era prima di Cristo, svegliamoci!".

Ma i grani di tale rosario meritano un breve commento. Anzitutto la locuzione "un mondo nuovo" è vaga e stantìa; non soltanto perché quasi tutte le generazioni hanno desiderato un mondo diverso da quello in cui vivevano, ma soprattutto perché da quando esplose la contestazione sessantottesca, che durò ben oltre il 1968, si ripete che ci vogliono "un mondo nuovo" e "una società nuova"; però non è stato mai spiegato – in maniera chiara e razionale – come l’uno e l’altra possano sorgere. Piacerebbe poi sapere quali siano "le cose che veramente contano", dato che in questo tempo e nella nostra società si trovano le aspirazioni più disparate: cosicché quello che davvero conta per una persona, può lasciare del tutto indifferente un’altra, e vice versa, come càpita sovente.

Infine l’esortazione "svegliamoci!" merita certo di essere accolta da tutti; specie però da coloro che scrivono nei giornali. In alcune lettere e articoli giornalistici si nota infatti un linguaggio tortuoso e impreciso, simile ad un frullato di parole aventi anche il grave difetto – come a certi intellettuali piace dire – di non portare da nessuna parte.

Vittorio Ciarrocchi