RICCARDO PAOLO
Cronaca

La fine dell’uomo più scaltro del Settecento. Cagliostro venne incastrato dai preti

L’avventuriero moriva nella fortezza di San Leo 230 anni fa, nel 1795. A testimoniare contro di lui anche la consorte e i familiari di lei

L’avventuriero moriva nella fortezza di San Leo 230 anni fa, nel 1795. A testimoniare contro di lui anche la consorte e i familiari di lei

L’avventuriero moriva nella fortezza di San Leo 230 anni fa, nel 1795. A testimoniare contro di lui anche la consorte e i familiari di lei

Uguccioni

Duecento e trent’anni fa il castellano di San Leo informava il presidente dello Stato di Urbino della morte di Cagliostro, prigioniero in fortezza per condanna del Sant’Uffizio. "Mi trovo in preciso dovere di avanzare all’eccellenza vostra la notizia, qualmente sorpreso nel giorno d’oggi [26 agosto 1795] verso il mezzo dì il rilegato Giuseppe Balsamo detto Cagliostro da un forte colpo d’apoplessia, questa medesima sera sulle ore quattro in circa è passato all’altra vita, assistito tanto da’ professori, ma inutilmente, quanto da sacerdoti e segnatamente dal parroco, che non lo ha neppure creduto capace d’assoluzione, per non aver dato alcun segno di ravvedimento. Prima di far humare il di lui cadavere, ho creduto necessario di interpellare la mente di questo mons. vescovo, che darà su di ciò gli ordini che crederà convenienti ed opportuni, e prima di ciò fare si lasceranno scorrere le 48 ore prescritte per simili casi".

Si chiudeva così la vicenda terrena di Giuseppe Balsamo (1743-1795) e cominciava la leggenda di Cagliostro. Il fatto che il “conte“ sia stato sepolto in luogo ignoto, sul lato occidentale dello sperone di San Leo, ha contribuito al fascino di un personaggio. Oggi si sa che lo stesso processo al Cagliostro venne per così dire progettato in ambienti curiali romani, con un vero e proprio tranello giudiziario (una "burla", la definì mons. procuratore generale), utilizzando anche la moglie, Lorenza Feliciani, e i parenti di lei, avversi all’ingombrante congiunto. Giuseppe Balsamo e Lorenza Feliciani si erano sposati a Roma nel 1768. Alla fine dello stesso anno, i due erano partiti verso la grande avventura europea che avrebbe trasformato Giuseppe Balsamo nel conte di Cagliostro, in un’alternanza equivoca di onori e di fughe, dalla Spagna alla Germania, dalla Francia alla Russia.

Vent’anni dopo, nel maggio 1789, Giuseppe Balsamo e la moglie tornano a Roma ma i rapporti tra i due sono incrinati. Lorenza quindi si riavvicina ai suoi e i coniugi vivono ospiti di parenti di lei, persone timorate di Dio, che Cagliostro volentieri schernisce per la loro devozione. A Roma Cagliostro è cauto e si astiene, diversamente da quanto fatto in altre capitali d’Europa, dall’organizzarvi logge massoniche. Ma siamo in quell’estate in cui cade la Bastiglia. Forse per questo, nella curia romana qualcuno matura l’idea di colpire, attraverso Cagliostro, sia la massoneria che le novità politiche d’oltralpe.

E ciò che egli non fa, gli si chiederà di fare: è tutta qui la trappola, dato che un editto del 1739 commina la pena di morte contro chi organizzi logge massoniche negli Stati della Chiesa. Nell’estate, certi personaggi avvicinano il conte per curiosità. Nella folla spiccano un Matteo Berardi, giurisperito, e un Carlo Antonini, incisore. Il primo è un sostituto procuratore, collaboratore di mons. Giovanni Barberi che a sua volta è il procurator fiscale generale. Sarà proprio mons. Barberi, nel 1791, a dare alle stampe un “Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato il conte di Cagliostro“ nel quale si narra per filo e per segno la tragica "burla". C’è anzi da chiedersi come mai il Cagliostro, che non è uno sprovveduto, non intuisca il tranello: eccesso di autostima? Il trucco è semplice. I due chiedono al Cagliostro di essere ammessi in massoneria. Quando le cerimonie iniziatiche sono compiute, i due si tirano indietro: ma Giuseppe Balsamo è già reo di proselitismo.

Un ruolo di qualche peso lo ricopre anche la moglie Lorenza, che al parroco rivela certi misfatti del marito avventuriero, storie di truffe, fughe e meretricio. Anche il suocero ha cose da raccontare, e nelle sue dichiarazioni si mescolano rancori e torti patiti. Da un punto di vista legale sono accuse minori, ma è certo che Giuseppe Balsamo paga caro il modo sprezzante con cui ha trattato i parenti della moglie e, da un certo momento in poi, la consorte stessa.

L’epilogo è noto. Il 27 dicembre 1789 il luogotenente criminale di Roma arresta il Balsamo e lo rinchiude a Castel Sant’Angelo. La contemporanea perquisizione porta al rinvenimento di oggetti massonici e di un manoscritto sulla massoneria egiziana "contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che apre larga via alla sedizione, eversivo della religione cristiana, superstizioso, blasfemo ed ereticale", che il boia pubblicamente brucerà.

Il processo, tra maggio 1790 e aprile 1791, si incentra sul reato di proselitismo e la condanna è di morte, come previsto contro gli "eretici formali, dogmatizzanti, maestri e seguaci di eresia e magia superstiziosa"; ma la sentenza implora che il papa trasformi la sentenza in reclusione perpetua senza speranza di grazia, previa abiura da parte del condannato. Cagliostro abiura e il 16 aprile è trasferito a San Leo, dove giunge dopo quattro giorni di viaggio in carrozza scortato da soldati corsi. Lì morirà.

Rimane invece a Roma la moglie Lorenza, che fin dall’arresto del marito è ospitata nel convento di Sant’Apollonia e al cui mantenimento provvede la Camera apostolica. Alla donna viene riservato un assegno mensile di otto scudi (lo stesso di cui gode il marito in fortezza) e le sono fornite "sedie, canterano ed altre mobilie", lenzuola e vari capi di vestiario: del resto l’insieme dei beni sequestrati al Cagliostro superava i 4.000 scudi. Lorenza morirà l’11 maggio 1810, aveva 59 anni. Nel registro dello stato civile, una novità imposta da Napoleone, si legge: "vedova del fu Cagliostro".