La guerra di Glauco, una vita da romanzo

Mancini, ex prof di inglese in vista del secolo (è nato nel 1921) si è messo a scrivere la sua storia al tempo del fronte. Ecco la prima puntata

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di Glauco Mancini

Era una gran bella ragazza ma avvicinarla per parlarle era un problema. Non che rispondesse male o non rispondesse affatto ma si comportava in modo cosi strano che uno rinunciava a dirle una parola anche la più banale, la più innocente, come buon giorno o cose del genere.

Non era di Pesaro, veniva da Como dove viveva con la famiglia ma non so se avesse fratelli o sorelle, né avevo mai visto i genitori. Ogni anno, al principio della bella stagione, arrivava puntualmente verso la fine di Giugno e trascorreva qui tutta l’ estate. Alloggiava presso i vecchi nonni in una casa isolata del quartiere e non frequentava nessuno. Si chiamava Liliana. Non ho mai saputo quale fosse il cognome. Ma quella sera, la sera prima che partissi , fu ella a cercarmi, a venire da me. Era venuta a salutarmi, ormai da vari giorni lo sapevano tutti che sarei partito, che aspettavo la nomina e la destinazione, adesso era ufficiale e avrei dovuto raggiungere il reggimento e poi il fronte.

Non si trattava certamente di una partenza felice, la guerra era in corso da due anni e parecchi non erano più ritornati. C’era la Russia, c’era l’Africa e tutto poteva accadere in un luogo o nell’altro. Io avevo chiesto come servizio di prima nomina il 6° bersaglieri di Bologna per poter ritornare a casa ogni fine settimana, ma non c’era da farci caso se mi mandavano più lontano. Il destino funziona a modo suo proprio e talvolta prende una strada che noi non avevamo contemplato, o non bada ai nostri desideri.

Io ero stato destinato al I Bersaglieri, Napoli, Pizzo Falcone Monte di Dio e lì sarei andato. Venne lei stessa a cercarmi. Disse che avrebbe voluto venire alla stazione con me se non avevo nulla in contrario . Risposi goffamente che mi avrebbe fatto molto piacere. Lei teneva le mani sul manubrio della bicicletta. Ci incamminammo e per tutta la strada non fece parola. Per me, camminare al suo fianco era una cosa strana che non avevo previsto e non pensavo a nulla. La sorpresa, evidentemente, aveva avuto il sopravvento su quello che poteva essere il fatto di camminare al suo fianco. Peraltro non sapevo nemmeno io di che cosa avremmo potuto parlare. Dopo tutto eravamo due estranei di quelli che si incontrano per la prima volta. Il treno era già arrivato e sarebbe partito poco dopo. Il saluto fu breve, impacciato e goffo. Molti di quelli che partono, disse ella, difficilmente ritornano. C’è la guerra.

Non era un modo felice di salutare uno che va alla guerra. Cercai di rimediare alla meno peggio. Certo, dissi, ma non si sa mai, tanto per confermare quello che aveva detto lei, e nello stesso tempo, per temperarne la brutalità. Se ne andò senza voltarsi indietro. Da allora non l’ho più vista, non ho saputo nulla di lei né durante la guerra né dopo, a guerra finita. La casa in cui ella era solita abitare durante l’estate venne distrutta dai bombardamenti insieme a tutte le altre abitazioni da quel lato e della strada ed ella non ebbe più né motivo né possibilità di venire a Pesaro.

Viaggiai per tutta la notte, Bologna, Firenze e poi giù , fino a Napoli. Il treno era pieno di gente in divisa. A Napoli lasciai la valigia al deposito e mi diedi a cercare l’indirizzo del reggimento. Due giovanotti stavano spingendo un carrello a ruote. Mi indicarono il luogo. Non erano di Napoli Pizzo Falcone, Monte di Dio? E ‘ Il quartiere spagnolo, e risero. Un postaccio. Il deposito del reggimento era nella parte alta della città però non si vedeva in mezzo a una folla di vecchie case accatastate l’una sull’altra. Tutto intorno a un gran cortile c’erano edifici costruiti in tempi diversi. In mezzo, una piazza nuda e polverosa.

"Cosa fai qui?". Era l’ufficiale di guardia: lo riconobbi subito, Era Mascherpa, della compagnia motociclisti a Pola. Gli scrivevo io le lettere e il nonno a Roma, le leggeva sempre con le lacrime agli occhi e mandava i soldi. E’ stata una porcheria, dissi, non ci pensare, rispose. Mio nonno ha una barca di soldi, il figlio è un debosciato e la figlia spende un capitale in beneficenza. Dopo tutto sono il nipote.

"Cosa fai qui?", gli domandai. "Sei qui per starci o solo per un po’? Non so, rispose, ogni tanto qualcuno se ne va, in Russia, in Africa. Sai com’è. Il colonnello non c’è mai. Fa tutto l’aiutante maggiore. Lo vuoi vedere?". Mi presentò all’aiutante.

"Chi sei?". Mi presentai.

"Chi vuoi che ci sia oggi è Ferragosto".

Non ribattei. Oggi gli avrei risposto: "pezzo d’incosciente. Anche oggi ci sono morti in Africa, in Russia, e tu pensi al Ferragosto!".

Mi portò dal colonnello. Senza la divisa addosso, lo avrei preso per il gestore di un’osteria. Flaccido, grasso, col fiatone. Suggeriva noia, insofferenza, indifferenza. Non mi piacque per niente. D’istinto. Qui non c’è da fare niente, disse. Si sistemi. Si trovi una camera, fa tutto l’aiutante.

Trovai una camera in via Alabardieri. Poi cambiai per una più vicino alla caserma, in via Santa Teresella degli Spagnoli, un posto infame, panni stesi ad asciugare anche su fili attraverso la strada. Un’aria sporca, ostile, equivoca. La nuova camera si trovava in un vecchio palazzo a tre piani. La padrona era cieca e la clientela quasi sempre di passaggio. C’erano undici donne che abitavano stabilmente nell’appartamento, giovani e meno giovani, tutte praticanti del mestiere. Alla notte c’era un gran traffico da una camera all’altra e un’aria costante di corruzione e sottobosco.

Ogni tanto vedevo Maresca, poi anche lui sparì. Lo mandarono in Russia, poi inspiegabilmente ritornò in Italia. Il nonno aveva amici potenti. Lo rividi al ritorno. Un giorno mi disse: ti ricordi Bossetti, il mio compagno di motocicletta. Una volta eravamo usciti col reparto per andare a Ronchi.

A una curva c’era tanta polvere che la strada era sparita, non si vedeva niente, Io andai diritto, difilato contro una casa. L’urto fu tremendo. Bassetti mi volò sopra la testa e finì contro il muro della casa. Non morì ma fu ridotto a un cencio. Tutto rotto. Lo hanno congedato immediatamente. Adesso è pensionato di guerra; scommetto che darà una versione eroica dell’incidente, comunque, tutto ridotto a un rottame per lui la guerra è finita.

Un pomeriggio l’aiutante maggiore mi disse: "Domani mattina devi essere in caserma per le otto in punto, ti ho messo di servizio...".

(continua domani)