UMBERTO
Cronaca

"La mostra su Federico Barocci è costruita a misura di spettatore"

Lo scrittore e poeta Umberto Piersanti racconta l’esposizione al Palazzo Ducale di Urbino "È un grande pittore religioso senza essere devozionale, perché l’inquietudine e l’umanità glielo impediscono".

La mostra su Federico Barocci si apre con dei ritratti

La mostra su Federico Barocci si apre con dei ritratti

Piersanti

Ho visitato la mostra dedicata a Federico Barocci. Ci sono stato circa un’ora e mezzo, e sicuramente merita di essere vista da tutti, perché è a misura di spettatore. È di giuste proporzioni, né troppo grande né piccola. Non ci si perde per l’ampiezza né ti lascia deluso per la piccolezza. Non ha poche opere né presenta un eccesso. Insomma è allestita in modo ottimo. Ma andiamo al concreto.

Pensando a Barocci viene spontaneo un paragone con l’altro genio urbinate, Raffaello. Certo, alcune impronte raffaellesche ci sono, ma Raffaello rappresenta l’equilibrio assoluto, l’armonia totale. Tutti i suoi quadri sono composti in un modo preciso. Se Michelangelo penetra anche nello spazio moderno attraverso un’inquietudine diversa, Raffaello è l’esempio perfetto di un’epoca in cui tra polis, natura, uomo e divino si cerca un equilibrio preciso. Tutto in lui è composto, anche i suoi colori. Dramma e dolore vengono sempre superati da una tensione che mira all’armonia. Barocci invece è diverso nel colore, negli impianti, nei dettagli. I colori sono sempre inquieti, diversi, sfumati, con tonalità tipicamente manieriste. Dove in Raffaello c’è una dimensione religiosa ve ne è anche una classica, penso alla Fornarina coi seni scoperti, o al trionfo di Galatea. In Barocci, di contro, la dimensione religiosa è totalizzante. Si sente lo spirito della controriforma, quei colori incerti, quei rossi sfumati, le dimensioni vivide, gli scuri da cui emergono i torricini. È inquietudine, è uno spirito religioso tormentato. La controriforma riscopre la punizione divina. Ma Barocci non è mai devozionale.

Cosa lo salva? La carica profonda di umanità che immette nei suoi quadri. Non fa dei “santini“ come il Sassoferrato, ma si possono trovare varie sfumature: si va dall’idillio religioso, come la Madonna delle ciliegie (il Riposo durante la fuga in Egitto), in cui domina la tenerezza di tutti – di Giuseppe, di Maria, dell’asino – uno spirito di quiete, di tranquillità lieve, evangelica, alla drammaticità religiosa della Deposizione e del Trasporto al sepolcro, dove ci sono toni forti, crudeli, uno spirito non di pietas, ma di passione dolorosa. Sono i due poli del cristianesimo. Altri quadri poi mi hanno colpito: nella Presentazione di Maria al tempio senti la solennità un po’ sontuosa che muove verso il barocco. Nell’Annunciazione invece c’è l’attenzione al paesaggio. Spesso inserisce paesaggi nello sfondo, e tra essi ha una cifra di riconoscimento: i torricini.

Ci ho scritto anche una poesia. Lui ha una patria poetica particolareggiata: i torricini danno un senso di realtà geografica concreta. È una firma (anche Raffaello si firmava Raphael Urbinas) che va oltre: è un segno con cui identifica la città e le sue terre. Un suggello, un atto d’amore verso la sua terra. Nella Fuga da Troia, molto bella, c’è un impianto forte, robusto, è un Barocci epico, molto più che nel ritratto di Francesco Maria II, pur abbigliato da guerriero vincitore. Quando Barocci apre al barocco è bravo, ma credo che non sia la sua stagione più grande, che è quella del manierismo. Non è stato capito che Barocci è stato una delle voci autorevoli del manierismo. È un manierista che interpreta più di ogni altro lo spirito della controriforma, e lo fa ad altezze grandi. È un grande pittore religioso senza essere devozionale, perché l’inquietudine e l’umanità glielo impediscono.

* poeta e scrittore