
Riccardo Paolo
Uguccioni
era una volta un castello, poi svanito nella nebbia della Storia. La vicenda di Monte Copiolo, che Daniele Sacco, docente di Archeologia cristiana e medievale all’Università di Urbino, racconta con il suo recente lavoro “Il castello di Monte Copiolo. La casa dei duchi di Urbino“, edito da Clueb nella collana “Storie narrate“, è quasi una metafora dell’avventura umana. Monte Copiolo risale almeno al X secolo, forse lo fondano il vescovo di Montefeltro o suoi enfiteuti, poi nei secoli seguenti diventa importantissimo, fino a essere sede dei signori del Montefeltro.
La sua rilevanza si espande con il dilatarsi di quel dominio. Verso la metà del XIII secolo i conti si trasferiscono a Urbino (saranno una delle più celebri dinastie italiane fra Medioevo e Rinascimento), ma il castello resta a un ramo cadetto della stessa famiglia e per la sua importanza di piazzaforte non viene infeudato, ma rimane a lungo – per così dire – amministrato direttamente dai Montefeltro. Nel XV secolo il castello – con ben sei cortine murarie e forse 700 anime – è un punto strategico primario per la difesa del ducato di Urbino dai Malatesti, che non riescono mai a conquistarlo. E tale rilevanza strategica si mantiene durante l’occupazione borgiana, tra 1502 e 1503, e più tardi con quella medicea (1516-1522). Oggi esiste un comune, Monte Copiolo, la cui sede è a Villagrande “di“ Monte Copiolo; ma il castello dov’è? Non lo sa nessuno, tranne una sparuta pattuglia di archeologi. Il castello è sparito per il duplice concorso della natura e dell’uomo. Anzitutto, dalla seconda metà del XVI secolo gli inverni si fanno rigidi, si avvia un "pessimo climatico" che uccide in culla anche la città che i Medici progettavano sul Sasso Simone (la "piccola età glaciale" si protrarrà fino ai tempi della banda Grossi, a metà Ottocento). Ma il declino del centro abitato di Monte Copiolo nasce soprattutto dal venir meno della sua funzione strategica. La minaccia malatestiana è ormai spenta, il pericolo mediceo pure, la sicurezza dello Stato di Urbino poggia ora su altri capisaldi. E se il castello perde rilevanza, comincia il declino. Francesco Maria II avvia ancora opere di restauro, ma è un intervento per così dire sentimentale, cioè anacronistico, cui si accompagna il divieto di cavare dal castello materiali lapidei. Che è invece quel che già succede.
Scomparsi poi i duchi di Urbino, il declino dell’abitato sommitale si accelera. Gli abitanti demoliscono le proprie abitazioni riutilizzando i materiali lapidei nella costruzione di nuove case alle falde del rilievo; e perché non utilizzare anche le pietre meglio squadrate del "palatium" e della cinta difensiva? Già nel 1640 il castello è "in parte dirupato", poi lo sarà del tutto e nessuno lo abita più; per ultime sono demolite le due chiese. Così, dopo aver resistito al Borgia e a Giovanni dalle Bande Nere, il castello viene "smontato" dai suoi stessi abitanti che ricostruiscono le case ai piedi del rilievo, in posizione più comoda.
L’intero centro è smontato pietra su pietra, come mattoncini lego, e in tre secoli scompare del tutto, lasciando dietro di sé solo un toponimo. Lo scavo archeologico al castello di Montecopiolo si è protratto dal 2002 al 2018 sotto la guida di Anna Lia Ermeti, dell’Università di Urbino, e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, con l’appoggio di Amministrazioni comunali che l’autore definisce "virtuose". Oggi il comune non ha una sede storica (lo era il castello) e la popolazione è sparpagliata in frazioni, di cui Villagrande è la maggiore. Lo scavo archeologico è stato come un defibrillatore che ha riattivato un cuore, afferma l’autore.