REDAZIONE PESARO

Nell’incubo dell’anoressia: "Mi sentivo onnipotente"

Elisa Mencarini racconta il suo doloroso percorso verso la guarigione "Pensavo di controllare tutto, anche la morte. Ma era il cibo che dominava me".

Nell’incubo dell’anoressia: "Mi sentivo onnipotente"

di Elisa Mencarini

Incredulità è la prima parola che mi viene in mente; questa è la mia storia, sono io a mettermi in gioco con lo strumento che mi accompagna da quando sono bambina, la scrittura. Le dita non scorrono rapide sulla tastiera, anche loro avvertono la fatica e le parole escono a singhiozzi. Le parole: quelle che per trenta lunghi anni non sono riuscita a dire e che ho nascosto sotto chili di cibo mangiato e vomitato o a cui ho rinunciato fino a scomparire, illudendomi di poter cancellare il dolore.

Il corpo è stato l’innesco di tutto, sotto le sue prime forme ho tenuto nascosta quella bambina che troppo presto ha smesso di parlare. Per lei, insieme alla mia analista, ho scelto un nome: Mafalda. Vive ancora dentro di me e solo ora sto imparando a tenere a bada i suoi capricci, dopo molti anni e altrettanto aiuto. Mafalda era una bambina cicciottella e socievole. Quando si ritrovava con i parenti rallegrava la casa dei nonni con le sue grida e risate. Fino a quando un giorno, sua nonna, durante un pranzo, si alzò e chiese: "Come mai questa bambina da un anno all’altro non parla più?". Il silenzio fu il primo sintomo di quello che, nel corso degli anni, iniziò a prendere il controllo della sua vita.

Il cibo prese il posto delle parole, delle emozioni, arrivando a riempire ogni ambito. Niente la coinvolgeva più come prima, anche il momento del gioco divenne qualcosa da vivere in attesa dei pasti. Pasti che si trasformavano da occasioni di convivialità a teatro di liti, pianti di fronte a piatti per lei sempre troppo pieni e preghiere dei genitori per farla mangiare. La sensazione di onnipotenza è stata la più grande fregatura: l’illusione di avere il controllo su ogni aspetto della vita mentre è il cibo che lo esercita su di te. Una regìa esterna sembra dirigere le tue azioni, il tuo sentire, portandoti a ripetere gli stessi ossessivi e patologici schemi. Più varcavo il limite, più la sensazione di onnipotenza si faceva pervasiva.

Pensavo di avere il controllo anche sulla morte. Più di una volta l’ho sfiorata, le sono rimasta accanto ma il mio corpo, nonostante tutto, continuava a resistere. Anche con un sondino al naso, in una clinica psichiatrica e di fronte a una minaccia di TSO non avevo paura o, quantomeno, pensavo di non averne. Dopo un primo tempo di rinunce imparai che il vomito poteva essere un alleato e, insieme a chili di cibo iniziai a vomitare tutto il dolore che non riuscivo a esprimere a parole. Quel corpo, troppo magro o troppo grasso, mi aiutava ad allontanare emozioni e persone.

L’"altro" mi terrorizzava, la condivisione mi suscitava un senso di vergogna indicibile. La casa dove ero andata a vivere da sola divenne la mia prigione, il luogo in cui si consumavano i miei riti che nessuno doveva conoscere. A farmi compagnia c’era solo Mafalda, che faceva la sua comparsa, urlando e pestando i piedi, ogni volta che qualcuno cercava di impormi delle regole o dei limiti.

Vorrei poter dire che c’è stato un momento preciso in cui ho iniziato a pensare alla possibilità di vivere senza quell’ossessione ma in realtà è stato un lungo processo a portarmi a non considerare più il mio sintomo un nemico. Le parole e anzi, soprattutto, i calci nel sedere della mia analista, mi hanno aiutata a comprendere l’importanza di ammettere che senza quello molto probabilmente non avrei raggiunto alcune tappe della mia crescita. Non è stato facile e neppure rapido riconoscerlo.

Sono stata costretta ad accorgermi che la lotta contro il mio disturbo non faceva che rafforzarne il potere fino a farmi credere che niente altro mi caratterizzasse come individuo. L’accettazione è stato il primo passo nella scelta di impegnarmi in un percorso di guarigione, mi ha consentito di sentire che spettava a me spezzare la catena del vomito e della restrizione per riacquistare il libero arbitrio e la libertà di vivere e scegliere.