Se la cultura finisce fuori dal tempo

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Marta

Scavolini*

Le considerazioni che Marco Savelli, qualche giorno su questo giornale, ci ha regalato sul “Progetto” Pesaro Capitale della cultura fanno riflettere per la profonda incisività e ci sentiamo (con il beneplacito dell’autore) di farle nostre. Cercando, infatti, di scavare sotto il legittimo orgoglio per il riconoscimento ministeriale ottenuto, una gioia di cui è bello dare atto e sentirsi parte, l’immagine che, delle iniziative prospettate, resta, e che speriamo ci venga al più presto smentita da una pubblica e dettagliata spiegazione, è quella di una liquida estemporaneità (nel suo significato di “fuori dal tempo”). Un modo di pensare la cultura come mera creazione di sensazioni, avulse da qualsiasi contesto, specie quello storico, e pronte solo per essere velocemente, qui e ora, “digerite”: poco che punti a un ripensare la città e il suo territorio come contenitore attivo, stabile ed integrato nel quale, anche attraverso un uso intelligente delle risorse tecnologiche e il rafforzamento del legame tra associazioni-istituzioni e scuola, sia possibile favorire a tutti il libero accesso quotidiano e costante al patrimonio culturale che è storico e ambientale. La città futura non può prescindere dalle proprio radici e su di esse va progettata, non immaginata Ciò non significa rinunciare a quello che di economico possiamo ricavare dalla cultura (dato che questo sembra essere, nei tempi correnti, un valido dogma), ma guardare oltre e non in senso utopico: che cosa resterà a Pesaro di Pesaro Capitale della Cultura se non avremo approfittato delle ingenti risorse in arrivo per costruire un modo di fare e usufruire cultura permanenti? Rimarranno i suoni nel ricordo o le immagini nel telefonino? Il patrimonio culturale è un bene comune che si accumula e cresce, sedimentandosi nel tempo e nello spazio e che deve essere con-diviso e reso accessibile sempre, a tutti e a ciascuno, nella sua interezza, senza svilirlo a mero intrattenimento.

*Associazione ”Apriti Pesaro“