Coronavirus Pesaro, senza tampone sepolti vivi da 42 giorni

Madre 80enne e figlio di 54 anni col padre dializzato morto il 26 marzo scorso costretti a rimanere in casa senza alcun motivo

Il drive in ha fatto aumentare il numero dei tamponi. Anche ieri segnalate lunghe file

Il drive in ha fatto aumentare il numero dei tamponi. Anche ieri segnalate lunghe file

Pesaro, 9 maggio 2020 - Gli hanno detto di aspettare, di stare in casa. Era convivente di una persona positiva poi deceduta. E lui ha obbedito. Sono passati i primi 14 giorni di reclusione domiciliare, e lui è rimasto in attesa. Poi non sentendo nessuno, ha chiesto di essere sottoposto a tampone attraverso il suo medico di base. Nessuna risposta dall’Asur. Dopo un mese, ha rinnovato la richiesta. Niente.

Ora sono passati 42 giorni e ancora nessuno ha chiamato Luciano Cassetta Talio, 54 anni, pesarese, che dice: "Ho fatto 50 telefonate a tutti i numeri dell’Asur, ho supplicato di avere una tampone perché non posso continuare a vivere così. E insieme a me c’è mia mamma che ha più di 80 anni e non sa più resistere dentro casa. Lo stesso nostro medico di base, dottor Bonazzoli, ci dice di non sapere perché ci hanno dimenticati. Questo rasenta il sequestro di persona. Mi devono rispondere. Mi rivolgo al Resto del Carlino come ultima spiaggia perché non trovo nessuna risposta da parte delle autorità. Mi sento abbandonato. Io sono una persona corretta, non voglio accusare nessuno, ma chiedo di essere liberato da questa condizione. Non sono malato, anzi io non ho mai avuto sintomi così come mia mamma.

E anche mio padre Tommaso non era malato di coronavirus prima di andare in ospedale. Vi è entrato il 20 marzo per la sua solita seduta di dialisi. Dopo qualche ora ha avuto un malore. Ci hanno chiamato che era stato ricoverato per un’infiammazione polmonare. Il 26 ci hanno detto che era morto. Noi non l’abbiamo nemmeno visto. A quel punto, dall’ospedale ci hanno detto di non muoverci da casa. E noi abbiamo obbedito pur senza sintomi e senza mai esser stati sottoposti a tampone. Ma adesso basta, non si può rimanere così. Ci sembra di impazzire. Chiediamo aiuto e speriamo che attraverso il Carlino si riesca ad avere l’attenzione della sanità pesarese. Non è piacevole esporsi pubblicamente, ma arrivati a questo punto siamo costretti a farlo perché siamo seppelliti vivi senza che un responsabile si degni di rispondere alle nostre chiamate. Non voglio offendere nessuno, ma questo non è un modo di fare rispettoso dei cittadini"