Stupro, concessi i domiciliari all’albanese

Per il giudice "manca la flagranza del reato". La protesta della ragazza: "Assurdo che lui parli di rapporto consenziente"

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di Manuel Spadazzi

E’ tornato a casa Bujar Metushi. Per il 22enne albanese, accusato di aver stuprato nella notte di sabato scorso una ventenne della provincia di Pesaro fuori dalla discoteca Malindi di Cattolica, in una delle stradine che portano al parcheggio, ieri mattina si sono aperte le porte deI carcere. Metushi, che si trovava rinchiuso ai ’Casetti’ da domenica, è tornato a Vallefoglia (nel Pesarese), a casa dello zio con cui vive. Il giudice per le indagini preliminari Manuel Bianchi, ha deciso di non convalidare l’arresto in carcere per il muratore 22enne, e ha disposto per lui la custodia agli arresti domiciliari. Una misura adottata "per mancanza della flagranza di reato – spiega l’avvocato difensore del ragazzo, Marco Defendini di Pesaro – nonché per il fatto che il mio assistito è incensurato. Resterà ai domiciliari, senza il braccialetto elettronico".

Ma nell’ordinanza di scarcerazione, il giudice ha rimarcato come a carico di Metushi ci siano gravi indizi di colpevolezza. L’albanese è accusato non soltanto di aver violentato la ragazza, ma anche di aver picchiato poco dopo l’amico di lei, che insieme ad altri giovani aveva affrontato il gruppo di albanesi di cui faceva parte Metushi. Una sorta di resa dei conti, in cui ha avuto la peggio proprio l’amico della ragazza, finito al Pronto soccorso per i calci e pugni subiti (per lui prognosi di quattro giorni).

Agli inquirenti il 22enne albanese ha ribadito che "è stato un rapporto sessuale consenziente", e che la ragazza le avrebbe confidato che era la prima per lei. Ma per il giudice ci sono molte contraddizioni nel racconto dell’albanese su questo e su altri punti. Il fatto che la ragazza, quando Metushi l’ha portata fuori dal Malindi, abbia inviato un messaggio in codice al suo amico con una richiesta di aiuto, dimostrerebbe che lei si sentiva in pericolo. E ancora: il fatto che la giovane non abbia risposto alle chiamate delle sue amiche, dopo quella richiesta d’aiuto, dimostrerebbe l’impossibilità di poter usare il telefono, perché bloccata dall’albanese.

La pm Annadomenica Gallucci, che coordina le indagini - affidate ai carabinieri di Cattolica - disporrà una perizia medica sulla ragazza. Sabato la ventenne era stata portata in Pronto soccorso, e i medici avevano riscontrato ferite alle parti intime compatibili con la violenza. Ma intanto l’albanese ha lasciato il carcere ed è tornato a casa. E la ragazza è sconvolta: "E’ assurdo che lui continui a sostenere che è stato un rapporto consenziente... Per me è come subire una seconda violenza". Assistita dall’avvocato Elena Fabbri, la ventenne, nonostante la rabbia per la scarcerazione dell’albanese e la tesi da lui sostenuta davanti agli inquirenti, appare molto determinata. "Sono ancora provata, sotto shock per quanto mi è accaduto, ma sono decisa ad andare fino in fondo – dice la ragazza – E sono fermamente convinta che la verità presto verrà a galla...". Anche il gip Manuel Bianchi ha sottolineato come il racconto della ventenne ai carabinieri sia stato molto lineare e apparentemente privo di incongruenze. Al contrario, invece, della versione fornita dall’albanese.