Benzina, prezzi alle stelle. E non è finita qui

Da inizio anno i carburanti sono aumentati del 13%. Oggi, rispetto all’autunno 2020, per fare un pieno servono quasi 12 euro in più

Migration

La benzina galoppa. E il diesel segue a ruota. Le notizie sul fronte dei carburanti non sono incoraggianti. E, secondo le proiezioni a medio termine effettuate degli analisti, non lo saranno nemmeno nelle prossime settimane. Anzi, i prezzi sono annunciati in aumento. I consumatori, insomma, devono mettersi il cuore in pace. Ieri, per un litro di verde, il prezzo medio nella nostra provincia era di 1,656 euro, comunque inferiore alla media nazionale di 1,685 euro. Un litro di gasolio invece, costava in media 1,521 euro, anche in questo caso, inferiore alla media nazionale di 1,546 euro. Secondo l’Unione dei consumatori, si tratta in ogni caso di ‘vette’ che non si raggiungevano dal novembre 2018. Da inizio anno, benzina e diesel costano oltre il 13% in più, il che può portare a un aumento per il pieno di un’auto, anche di 6-7 euro. Ma, se arretriamo il raggio anche solo di qualche mese, la ‘frustrazione da pieno’ aumenta. E di parecchio.

Era il novembre 2020 quando, in pieno lockdown, e dunque coi consumi ai minimi, anche i prezzi dei carburanti si erano adeguati. Un litro di verde costava appena 1,390 euro, e un litro di diesel scendeva a quota 1,261. Se oggi, il raffronto è con queste cifre, ovvero coi listini di 8 mesi fa, gli aumenti sono addirittura di oltre il 21%. Tradotto: rispetto all’autunno scorso, per fare un pieno, oggi servono quasi 12 euro in più. Un salasso, insomma. I motivi della stangata sono due. Il primo è ciclico. Durante l’estate, proprio mentre 8 italiani su 10 si spostano per le vacanze, e nonostante aumentino i consumi, i prezzi salgono sempre. È una legge ineluttabile, non si scappa. Poi però, ad incidere, ci sono anche problemi contingenti, ovvero le tensioni internazionali, sulle quali, i Paesi occidentali, in pratica hanno poco margine, e possono fare solo da spettatori inermi. In particolare, il riferimento è al recente fallimento delle trattative – avvenuto in campo neutro a Vienna – tra i Paesi produttori aderenti all’Opec. Il nocciolo della questione verteva sull’aumento della produzione di greggio. Da una parte l’Arabia Saudita (primo produttore dell’Opec e terzo produttore al mondo con 8,5 milioni di barili al giorno); dall’altra gli Emirati Arabi Uniti, la cui produzione si ferma a circa un terzo di quella saudita. Gli Emirati vorrebbero produrre di più, ma i sauditi (con l’appoggio di Mosca) temono che, un’apertura, possa generare un abbassamento dei prezzi. Queste tensioni hanno spinto il prezzo del barile fino a 78 dollari. A marzo era di 60 dollari. Ecco perché ulteriori aumenti dei prezzi alla pompa è praticamente scontato.

Roberto Romin