Daniela Poggiali, la consulenza: "Documentato l’omicidio seriale dei pazienti"

Altri dettagli dell’ordinanza cautelare con cui il giudice Janos Barlotti ha disposto la custodia in carcere dell’ex infermiera

Lettura della sentenza del Processo a Daniela Poggiali

Lettura della sentenza del Processo a Daniela Poggiali

Ravenna, 28 dicembre 2020 - Un elemento indiziario non preciso, certo. Ma "grave e soprattutto concordante" con tutti gli altri "a carico dell’imputata". Le consulenze statistiche si sono riaffacciate con forza nella vita di Daniela Poggiali.

Aggiornamento L'ex infermiera Poggiali chiede la scarcerazione

E lo hanno fatto attraverso l’ordinanza cautelare che alla vigilia di Natale ha portato in carcere la 48enne ex infermiera dell’Ausl Romagna per pericolo di reiterazione del reato. Una decisione scattata in relazione alla condanna a 30 anni inflitta alla donna per l’omicidio pluriaggravato di un paziente – il 94enne conselicese Massimo Montanari – morto il 12 marzo 2014 a poche ore dalle dimissioni dall’ospedale di Lugo. E il contesto delle analisi statistiche, ha riguardato appunto il reparto lughese, la Medicina generale, nel quale lavorava la Poggiali. Ebbene: per il gup Janos Barlotti, che il 15 dicembre scorso aveva pronunciato la sentenza e che ha ora emesso l’ordinanza su richiesta della procura, la consulenza tecnica affidata dall’accusa a due esperti (Tagliaro e Micciolo) ha documentato "la pratica seriale dell’omicidio dei pazienti" da parte della 48enne appunto. Del resto il gup ha ricordato come tale consulenza, in occasione del Riesame relativo a un’altra paziente morta (la 78enne Rosa Calderoni di Russi), fosse stata definita un "autentico macigno" che "piomba aggiuntivamente" nel senso di una "diuturna", cioè di lunga durata, "sistematica opera di eliminazione dei ricoverati" . Dei 191 decessi registrati in reparto tra il 9 aprile 2012 e l’8 aprile 2014, 139 – ha sottolineato il giudice – hanno riguardato il settore in cui stava lavorando l’imputata e quello comunicante; mentre 52 sono quelli verificatisi nei due settori contrapposti. Tradotto in proporzioni, là dove l’imputata "prestava le proprie ‘cure’", si moriva due volte e mezzo di più. Con una escalation: perché nel primo anno la Poggiali – sempre secondo tale statistica – aveva fatto registrare 6,8 morti a settimana contro un tasso medio di 4,5. Nel secondo anno il tasso per l’imputata era salito a 11,1 morti a settimana contro una media di 4,7 per le altre infermiere: una differenza così ampia che per il gup esclude fluttuazioni casuali. Peraltro si era verificata "una vera e propria impennata" negli ultimi sei mesi di servizio, quelli nei quali erano morti tra gli altri Montanari e Calderoni: qui la Poggiali aveva raggiunto un picco di 16 morti a settimana, più del triplo delle colleghe. Il rischio a lei attribuito dalla consulenza – continua il gup – era pari a 11: cioè rimuovendola, il tasso di mortalità si sarebbe ridotto di almeno 11 decessi a settimana. La riprova? Già dopo le ferie forzate scattate il 9 aprile all’indomani del decesso della Calderoni, il tasso di mortalità "rientrava immediatamente in standard ordinari". Come dire che in quel reparto a Lugo si era tornati a morire a livelli prossimi ai quattro decessi a settimana. In merito al dato statistico, il giudice ha precisato che la sua valenza indiziaria "ovviamente non è autosufficiente". Del resto – ha continuato – nessuno lo ha mai detto, né per Montanari né per Calderoni. Ma ha ricordato come la Cassazione, nell’ambito del caso Calderoni, abbia chiesto un vaglio sul punto al contrario di quanto accaduto in appello. Dunque anche il dato statistico "può e deve essere considerato" nell’insieme del materiale disponibile. Tanto che nel caso Montanari, si è rivelato "convergente con gli altri indizi più precisi".