Gianluca Pini si difende "Non ho infranto la legge Il rapporto con l’Ausl nato da loro iniziativa"

Interrogatorio di garanzia fiume ieri pomeriggio davanti al Gip. L’ex deputato ha risposto a tutte le domande che gli sono state poste. L’avvocato: "Sebbene non fosse il suo settore, trovò le mascherine".

Gianluca Pini si difende  "Non ho infranto la legge  Il rapporto con l’Ausl  nato da loro iniziativa"

Gianluca Pini si difende "Non ho infranto la legge Il rapporto con l’Ausl nato da loro iniziativa"

Dalle 15 alle 17.30. Un interrogatorio di garanzia fiume quello a cui ieri pomeriggio davanti al gip di Forlì si è sottoposto l’ex parlamentare leghista Gianluca Pini, peraltro alla presenza del pm titolare dell’indagine. Oltre due ore durante le quali, ha garantito l’avvocato difensore Carlo Nannini, l’indagato, che da giovedì scorso si trova in custodia cautelare in carcere, ha risposto a tutte le domande per dire in sintesi che nelle sue azioni non ha mai infranto la legge. Una scelta coraggiosa e rispettabile quella di parlare - ha sottolineato il suo legale - perché l’ordinanza è di ben 452 pagine. Leggerla tutta in una notte era insomma una impresa, e sembra che Pini nemmeno avesse preso gli occhiali con sé.

Le sue spiegazioni sono cominciate dalla genesi del rapporto con l’Ausl nato - ha garantito - per iniziativa della Ausl stessa. In buona sostanza un suo vecchio compagno delle medie e ora indagato, Gianluca Prati, che era a conoscenza della sua esperienza come compratore nell’ambito del caffè con il far east, lo aveva invitato a interessarsi di mascherine, in quel momento non reperibili (era l’esordio della pandemia da covid19). L’Ausl - ha proseguito Pini - aveva già provato a muoversi ma senza successo, talvolta con acconti senza l’arrivo di materiale. Si era allora rivolta a lui. E, sebbene non fosse il suo settore, era riuscito a trovare un prodotto: lo aveva sottoposto virtualmente perché la documentazione era giunta via mail. Al via libera Ausl, era scattato un accordo quadro e l’azienda aveva cominciato a pagare i cinesi i quali volevano tutto in anticipo dato che il prodotto in quel momento era introvabile. E il giro sarebbe stato questo: l’Ausl pagava Pini che pagava i cinesi. Tutto filava liscio e l’Ausl usava le mascherine senza alcuna contestazione.

A un certo punto però era scattata l’indagine in seguito a una intercettazione su un altro degli indagati a cui erano state vedute mascherine come privato. E al setaccio allora c’era finita la documentazione, considerata non valida, falsa o incoerente: per l’accusa, Pini lo sapeva. Questi sempre davanti al gip ha però assicurato di avere compiuto tutte le verifiche possibili in ragione della conoscenze maturate come esperto di food.

Circa il contestato auto-riciclaggio, ha sottolineato che i soldi versati da Ausl sulla sua società di contratto, si erano mossi principalmente verso i cinesi. E in quanto ai 600mila euro tornati indietro, non si trattava di un’operazione imbastita per ostacolare la provenienza delittuosa di quel danaro. Ma più semplicemente quel danaro era tornato perché l’ultimo ordine, pagato in anticipo, era stato annullato.

In quanto al direttore delle Dogane Marcello Minenna, c’era da tempo un rapporto di stima reciproca. Nel 2020 in occasione delle prime forniture di mascherina, una si era incagliata in dogana e allora lui gli aveva chiesto di interessarsi. Alla fine tutto si era chiarito e la fornitura era stata sbloccata. Tempo dopo Minenna, in scadenza di ruolo, gli aveva a suo dire chiesto a più riprese di incontrare Giorgetti. Così lui alla fine era si attivato chiamando anche la segreteria per fissargli un appuntamento: la segretaria peraltro era stata pure la sua negli anni da parlamentare. Ma per Pini, le mascherine incagliate e quella telefonata, avvenuta un anno e mezzo dopo, non c’entrano nulla.

Infine per quanto riguarda il funzionario della prefettura ravennate Sergio Covato, ha spiegato di averlo conosciuto quando faceva politica in An. A un certo punto un amico con certa disponibilità economica e per questo titolare di porto d’armi rilasciato a Forlì perché a rischio sequestro, si era trasferito a Cervia: a rinnovargli il porto doveva ora essere la prefettura di Ravenna che però tardava per ragioni ignote.

Lui a quel punto si era interessato della questione ma alla fine non glielo avevano comunque rinnovato. In una occasione al telefono Covato gli aveva parlato di una familiare che si era laureata da poco e che viveva a San Marino: avrebbe voluto che lui la presentasse a qualche impresa del posto. Lui pensò allora che gli unici contatti che aveva erano con il mondo bancario e in particolare con una banca: li chiamò per chiedere se fossero interessati a una figura professionale come quella descritta da Covato. Dissero che non ne avevano espressamente bisogno ma che accettavano di valutarla attraverso uno specifico colloquio di lavoro. Quell’incontro però non era mai avvenuto perché la ragazza aveva cambiato idea: le interessava altro. In ogni caso, Pini ha escluso qualsiasi forma di scambio corruttivo dietro alla richiesta del funzionario ravennate.

Andrea Colombari