I primi anni e la guerra: il Mic si racconta

Aperta una nuova ala del museo dedicata alla storia dell’istituzione, fondata nel 1909, e al recupero delle ceramiche distrutte dalle bombe

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Ha aperto le porte al pubblico per la prima volta ieri la nuova sezione permanente del Museo Internazionale delle Ceramiche, dedicata alla storia dell’istituzione fondata nel 1909 da Gaetano Ballardini come eredità dell’Esposizione Torricelliana, e ai suoi primi decisivi anni di vita. La sezione ‘1908-1952. A ricordo di un’impresa di sogno’ è in primis il racconto di quei decenni dedicati alla costituzione di un patrimonio museale unico al mondo, che rischiarono di interrompersi il 13 maggio del ‘44, quando le bombe fecero strage delle ceramiche custodite al Mic, ammantando di silenzio il dialogo delle culture del mondo che si compiva attraverso i linguaggi universali della maiolica e della porcellana. Le immagini dell’epoca, presentate nelle teche della nuova ala del museo a fianco delle opere restaurate, colpiscono per la loro durezza: sui tavoli allestiti al Mic compaiono allineati i frammenti raccolti fra le macerie dell’edificio, forme straziate in quel grande mattatoio delle civiltà che fu la Seconda guerra mondiale. Melisenda Lama, bibliotecaria del museo, arrivò sul luogo dei bombardamenti – Ballardini era sfollato a Merlaschio – non appena ebbe notizia degli ordigni caduti sul Mic. Si aggirava ancora sconvolta sul luogo della devastazione quando altre bombe le caddero tutt’intorno: "Si lanciò in una buca spalancatasi fra le rovine – rievoca la curatrice del Mic Valentina Mazzotti dalle pagine che ricordano l’evento –, convinta che lei stessa sarebbe stata ridotta in frantumi dalle deflagrazioni". Melisenda Lama si salvò: quando i crolli cessarono e aprì gli occhi, vide gravare sopra la sua testa "una delle travi dell’edificio, come un carnefice". Sul luogo dei bombardamenti "la polvere oscurava il sole".

Al termine della guerra circa l’85% delle ceramiche ospitate al museo sarebbero state distrutte o danneggiate: i depositi, nelle campagne, furono ugualmente colpiti. Del sogno costruito da Ballardini nei tre decenni precedenti rimaneva ben poco: distrutta era la Sala delle Nazioni, dove avevano trovato posto per prime le ceramiche di Nimy, Sèvres e di Stoke-on-Trent – nucleo embrionale dell’opera di internazionalizzazione dell’istituzione – sventrati gli ambienti che avevano ospitato le opere realizzate ad Albissola e in altre città italiane, tutto o quasi era stato travolto dalla catastrofe. Non si poté fare altro che raccattare quei frammenti e cominciare a catalogarli: al termine di quel triste raccolto erano state riempite trecento casse.

L’attività di restauro di quelle opere, cominciata subito dopo il 25 aprile, non è ancora terminata: fra le ultime ceramiche tornate alla vita va ricordato l’’Adamo ed Eva’ di Jean René Gauguin. Nella nuova ala del Mic compaiono le immagini dei depositi e del loro contenuto di forme antiche, rinascimentali e contemporanee: vasi, piatti, volti umani plasmati nella ceramica, tutti ancora affastallati gli uni sugli altri come in una Guernica, in attesa di avere di nuovo un nome e una collocazione, di poter nuovamente raccontare ai visitatori chi sono e da dove vengono.

Filippo Donati