
Franco. Pirazzoli perse la vita nell’agosto del 2020. Stava per andare in pensione
Un anno di reclusione con pena sospesa. È la condanna inflitta nel primo pomeriggio di ieri dal giudice Antonella Guidomei al 30enne di origine indiana accusato di omicidio colposo per avere investito e ucciso Franco Pirazzoli, 60enne prossimo alla pensione, il 19 agosto 2020 sulla banchina del porto all’interno dell’azienda Ifa. In prima battuta il collega aveva raccontato che Pirazzoli si fosse accasciato improvvisamente, ipotizzando un malore come causa del decesso. Tuttavia l’autopsia aveva rivelato che la morte era stata causata da schiacciamento. Inoltre secondo il pm Raffaele Belvederi, il mulettista avrebbe confidato a un camionista che il collega era stato colpito da una pala meccanica e gli avrebbe chiesto se in Italia, per episodi simili, si rischiava il carcere.
L’incidente era avvenuto in una zona ritenuta critica dell’azienda: un tunnel di collegamento tra due magazzini, descritto come scarsamente illuminato e caratterizzato da una promiscuità pericolosa tra mezzi e operai. Pirazzoli, intento nello spostamento di carichi pesanti prima della pausa pranzo, sarebbe stato investito dal muletto guidato dall’imputato, il quale avrebbe poi fornito una versione dei fatti smentita dall’autopsia. La difesa - avvocato Stefano Dalla Valle - ha contestato l’esistenza della confessione mettendo in discussione l’affidabilità del camionista che l’avrebbe riferita. Ha inoltre sottolineato come l’imputato parlasse male l’italiano e che, se anche avesse detto qualcosa, sarebbe stato in terza persona, esponendo solo ipotesi e non ammissioni di colpa.
L’attenzione della difesa si è concentrata anche sulle condizioni di lavoro all’interno dell’azienda: la zona dell’incidente era scarsamente illuminata, polverosa, con veicoli in pessime condizioni e segnali acustici di retromarcia non funzionanti. Il principale testimone dell’accusa, inizialmente aveva dichiarato che i mezzi erano in buone condizioni, salvo poi emergere il contrario. Inoltre, il mulettista potrebbe essere stato costretto a dichiarare di guidare un altro mezzo, per non perdere il posto di lavoro. Secondo la difesa insomma, la vera negligenza risiederebbe nelle condizioni di sicurezza dell’azienda, dove non vi erano percorsi pedonali né una segnaletica adeguata. In un ambiente del genere, il muletto rappresentava una vera e propria "mina vagante".
In ogni modo, per Pirazzoli inizialmente si era ipotizzato un malore, vista la sua storia clinica: ma l’autopsia aveva fugato ogni dubbio confermando come la causa della morte fosse da attribuire a un investimento. In precedenza il legale rappresentante della società aveva patteggiato la pena, mentre per il datore di lavoro della vittima, il procedimento si era concluso con un’archiviazione.