Il Tar sfratta le sale slot dal centro "Sul territorio c’è spazio per aprire"

Il Tribunale amministrativo di Bologna ha respinto tutti i ricorsi principali contro le applicazioni della norma regionale che stabilisce la necessità di una distanza di più di 500 metri dai luoghi sensibili

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La lista è davvero lunga. Niente gioco d’azzardo se a meno di 500 metri ci sono ad esempio una scuola, una chiesa, un oratorio, un impianto sportivo o una residenza per categorie protette. O ancora un cinematografo, una struttura socio-sanitaria o un centro dove i ragazzi siano soliti ritrovarsi. Una fitta ragnatela insomma nella quale i titolari di sale giochi sono via via incappati da quando nel 2017 la specifica norma regionale ha fissato i nuovi paletti di settore. E il braccio di ferro per la provincia ravennate ha riguardato proprio lo spazio ancora disponibile per traslocare videopoker e slot. Perché, secondo una consulenza di parte, ammonta a un risicato 1,15% del territorio comunale di Ravenna. Porzione che per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna corrisponderebbe a 0,72 chilometri quadri su un totale di 479,9 di territorio. Un’unghia, capace come tale di annichilire l’iniziativa imprenditoriale. Diversi i dati in senso opposto sciorinati invece dalle rispettive amministrazioni locali secondo le quali, planimetrie alla mano, a Ravenna sarebbe possibile delocalizzare su ben 170 ettari senza luoghi sensibili nei paraggi (25% del territorio). E pure nell’Unione le aree compatibili sono di gran lunga superiori. Ed è anche sulla base di questi dati che il Tar di Bologna, attraverso due sentenze appena pubblicate, ha respinto tutti i ricorsi principali contro le applicazioni comunali della norma regionale. Certo, i giudici non l’hanno messa giù in maniera esplicita: ma la “possibile delocalizzazione” che altro è se non un invito ad andarsene in campagna?

Per Ravenna il provvedimento di chiusura aveva riguardato 22 sale. E il ricorso, oltre ad alcuni titolari di locali, era stato proposto dalla faentina Romagna Giochi srl (colosso di settore). Oltre al Comune, aveva coinvolto la scuola primaria Moretti (non costituitasi in giudizio). Per la Bassa Romagna, capofila del riscorso sempre la Romagna Giochi a cui si erano aggiunti i titolari di tre sale gioco di Lugo, Cotignola e Sant’Agata invitate entro il primo luglio 2018 a staccare le spine. In questo caso oltre all’Unione, era stata coinvolta pure la scuola primaria Enrico Fermi (non costituitasi). Uno dei luoghi sensibili insomma.

In fondo la questione è riconducibile alle distanze, i fatidici 500 metri calcolati sulla base del percorso più rapido. Ma dato che i luoghi sensibili sono una miriade, secondo gli imprenditori del gioco la norma ha un effetto drastico: “In punto di fatto – così i giudici hanno sintetizzato la loro posizione –, la chiusura di tutte la sale gioco”. Un po’ come espellere “dal territorio comunale un’attività del tutto lecita”. E ciò sarebbe vero se mancassero le aree disponibili: ma – prosegue la sentenza – i dati comunali indicano “l’esistenza di aree all’uopo”. E poco importa se è difficile trovare “locali commerciali liberi”: circostanza per il Tar “del tutto irrilevante” visto che non è legata alla misura adottata dal Comune la quale a sua volta recepisce principi di tutela della salute (vedi ludopatie). I giudici, tra le altre cose, hanno inoltre chiarito che “il Cinema City appare luogo notoriamente frequentato da giovani e anziani” e dunque per definizione “sensibile”. Hanno precisato che la norma, pur non retroattiva, si riflette anche su chi aveva ottenuto i permessi prima del 2017: questi potranno sì ottenere proroghe alla chiusura ma non permanenti (massimo sei mesi più sei). Da ultimo la corte bolognese – presieduta dal giudice Alessandro Cacciari - ha dato ragione alla Romagna Giochi nella parte in cui, attraverso motivi aggiunti, aveva impugnato il provvedimento del Comune di Ravenna di chiusura immediata di una sala lamentando una errata applicazione del decreto 2020 ‘cura Italia’ contro la pandemia. Spese di lite compensate. Al caro lettore che mi ha seguito fino a qui, offro un ultimo giro di pallina. Casinò di Montevideo dell’Uruguay, torrido pomeriggio del febbraio 2008. Alla roulette un crocchio di giocatori, e l’amico che mi aveva accompagnato lì, uno psicologo di fiera origine ebraica, mi dice: “Vedi? Non sono venuti qui per vincere ma per assistere alla loro rovina”.

Andrea Colombari