Penna schietta ed esigente Senza paura di criticare

Capo della redazione di Ravenna dal 1956 al 1973, fu in prima fila nelle battaglie per i collegamenti stradali e ferroviari di Ravenna e per lo sviluppo del porto

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di Carlo Raggi

Conobbi Vanni nel 1970 quando cominciavo a muovere i primi passi nella cronaca e non ho mai dimenticato il suo burbero e secco insegnamento che una sera, occupandomi di un incidente mortale di poche ore prima, mi diede al telefono: "A quest’ora di quel morto avresti dovuto sapere anche il numero di scarpe e di mutande"!

Una iperbole, ma Vanni in fondo era questo, un giornalista intransigente che all’epoca, mezzo secolo fa, quando per avere le notizie occorreva consumare le suole delle scarpe, pretendeva che sul ‘suo’ giornale, su il Resto del Carlino, già il primo servizio di cronaca che sarebbe apparso all’indomani fosse completo in assoluto, con ogni dettaglio di interesse a seconda delle variegate categorie di lettori che, all’epoca, al mattino facevano la fila all’edicola. In quegli anni Vanni era il capo della redazione ravennate del Carlino; il suo vice era Uber Dondini. Era entrato in redazione, in via Corrado Ricci, poco dopo che a Ravenna e provincia fu dedicata (il 4 dicembre 1950) un’intera pagina de Il Giornale dell’Emilia (in precedenza in un’unica pagina comparivano notizie di tutta la Romagna), tenuta a battesimo dal corrispondente Tino Dalla Valle. E quando nel 1956 Dalla Valle fu chiamato a Milano, da Attilio Monti, all’ufficio stampa della Sarom, fu Vanni a prenderne il posto e a essere nominato capo di quella che era ormai diventata una strutturata redazione de il Resto del Carlino (la originaria testata era tornata nel novembre del 1953).

Scriveva a tutto tondo, Vanni, dalle sciagure stradali agli omicidi, dalle tragedie come, per citarne due, i cinque morti nella palazzina saltata in aria a Lido Adriano nel ’67 o l’aereo precipitato in fiamme sugli automobilisti a Montaletto il 4 novembre del 1971 (sette morti), alla politica. Ecco, la politica: era il suo piatto forte, nel suo mirino c’era spesso il Pci, mentre mostrava grande comprensione per il Partito Repubblicano e per il sindaco Bruno Benelli che l’Edera espresse fra il 1963 e il 1969. Il periodo che va dalla fine degli anni 50 agli anni 60 a Ravenna fu caratterizzato da prolungati stalli alla guida della città tanto che ripetuti furono commissari ed elezioni: ogni giorno Vanni scriveva articoli lunghissimi, colonne di ’piombo’ per informare compiutamente sulle dinamiche partitiche e politiche. E altrettanto lunghi erano i suoi resoconti sui consigli comunali. Ma politica voleva anche dire avere come obiettivo lo sviluppo della città: e Vanni (con l’insostituibile aiuto di Uber Dondini) fu in prima fila nelle battaglie per i collegamenti stradali (autostrada, Cispadana, Transpadana) j e ferroviari per togliere Ravenna dall’isolamento in cui da sempre era relegata e per lo sviluppo del porto e del polo industriale (punto di riferimento era Luciano Cavalcoli, presidente della Camera di Commercio). Negli anni Sessanta dirigeva il Carlino un personaggio del calibro di Giovanni Spadolini. "Io ero l’unico fra i giornalisti che entrava nella sua stanza al giornale solo bussando e senza farsi annunciare" raccontava Vanni che era anche l’unico che poteva permettersi di esprimere critiche. "Lei non dirige il giornale, lo governa" gli disse una mattina a proposito di articoli culturali che comparivano sulla Terza pagina, orripilanti alla lettura, ma pubblicati per ‘opportunità politica’.

Ogni giorno Vanni passava al setaccio la pagina (poi diventate due) ravennate del Carlino e segnava ciò che non andava (all’epoca dalla redazione partivano i soli articoli dattiloscritti: titoli e impaginazione venivano fatti a Bologna) e poi informava il direttore. Anche con l’editore Attilio Monti, ravennate, proprietario della raffineria Sarom, Ballestrazzi aveva un rapporto stretto e diretto "Lui mi ascoltava e prendeva nota". Nel 1973 Vanni fu chiamato a Bologna a dirigere la pagina regionale, poi con gli anni Ottanta il trasferimento nella capitale, a capo della redazione romana per il Carlino e la Nazione. E lì si concluse la sua carriera.