PAOLO CASADIO
Cronaca

Quanto mi mancano le colazioni di una volta

L'autore riflette sull'evoluzione delle colazioni, ricordando con nostalgia il semplice piacere del caffellatte e del pane vecchio. Interrogandosi se le moderne opzioni siano davvero necessarie per il benessere.

È impressionante l’offerta di biscotteria, pasticceria, tipologie di latte e caffè per la prima colazione. Due intere corsie del supermercato, dove la fantasia dei produttori si sbizzarisce in frollini, granelle ai mille cereali, mandorle e miele, biscotti farciti con creme pasticciere e cioccolato, fette biscottate semplici e integrali, sottili e spesse; latte proposto intero, parzialmente scremato, totalmente scremato, a lunga conservazione, fresco, microfiltrato, ivi comprese le alternative di soia e riso; e poi prodotti da forno con marmellate, brioche, cornetti, e non basterebbe questa colonna per elencarli tutti. Personalmente sono cresciuto a caffellatte e pane vecchio, perché questo c’era. Non solo: sovente con il caffellatte si cenava. Il latte era rigorosamente intero, da bollire con una pastorizzazione casalinga che formava sulla superficie una bontà dimenticata e rimpianta: la ’tela’.

Al latte così ottenuto si aggiungeva non il caffè, ma il surrogato del caffè o, meglio, i surrogati. Erano spesso proposti in miscele dei principali ingredienti – orzo, malto, segale, cicoria, melassa – e avevano un profumo incantatore, al pari delle loro affascinanti confezioni e dei loro nominativi: Moretto, miscela Leone, Cicoria Frank, Vecchina, miscela Elefante, Okebon. Di vero caffè non c’era traccia nelle sapienti miscele e dosature: mia nonna usava una miscela di più miscele, secondo una formula restata segreta ma dai risultati impareggiabili. Sarà stata per la cuccuma mai pulita, ove ogni sobbollitura aggiungeva un nuovo strato di deposito all’esistente, o per la sapienza della miscela, ma il caffellatte così ottenuto, servito in capienti tazze panciute, possedeva un gusto e un sapore inimitabili. Zucchero sì, bianco, senza problemi, e poi fette sottilissime di pane vecchio ad assorbire quella profumata liquidità beige sino a inzupparsene del tutto.

Questa era la colazione dei miei nonni, dei miei genitori e, sino ai vent’anni, pure la mia. Mai sentita la mancanza di qualcosa d’altro: il caffellatte saziava, lasciando in bocca un sapore felice. Oggi, davanti ai cappuccini schiumati, alle brioche integrali o vegane, allo zucchero di canna vero o finto, mi assale la nostalgia di quella lontana felicità fatta di poco e, in un gioco scorretto, mi chiedo se davvero tutto questo nuovo avere serva a star meglio. Domanda oziosa, di cui già so la risposta negativa.