
Adesso si attende l’ok del Ministero, mentre il piano della Regione è incompiuto dal 2011. In oltre 60 pagine e 600 allegati gli interventi che dovranno rappresentare l’ombrello contro le alluvioni.
Sessantaquattro pagine di relazione e quasi 600 di allegati. E’ il Piano speciale preliminare per i grandi interventi relativi alla mitigazione del rischio da alluvioni, consegnato a giugno agli enti locali e redatto da un Gruppo di lavoro presieduto dalla struttura commissariale del generale Figliuolo con capofila l’Autorità di bacino distrettuale del Po e di cui hanno fatto parte una quindicina di organismi tecnici e universitari. Questo ciclopico studio è premessa fondamentale per il Piano definitivo, la cui pubblicazione sta slittando: è infatti fermo al Ministero dell’Ambiente. Piano definitivo che dovrà concretizzare le opere ritenute necessarie per ridurre drasticamente i rischi per il futuro, ovvero opere di cui si parla non solo e non tanto da sedici mesi, ma da oltre dieci anni perché in parte, come le casse di espansione o laminazione, erano contenute già nel Piano per la sicurezza idrogeologica approvato dalla Regione nel 2011 e non attuato. Rischi futuri che peraltro il Piano preliminare si ostina a indicare ancora in 30-100-200 anni, quando invece la realtà è ben diversa: l’ultima alluvione ha dimostrato che il tempo di ritorno di piene storiche è oggi a meno di un anno.
Un aspetto, questo (peraltro ben individuato anche recentemente dal sindaco di Castel Bolognese Luca Della Godenza, dal geologo Claudio Miccoli, dai Comitati alluvionati) che dovrebbe indurre il Ministero a vistare al più presto il Piano speciale definitivo considerando che molti di quei progetti che saranno (si spera) indicati, saranno solo un punto di partenza per incontri fra i Comuni, gli enti che gestiscono i bacini fluviali, le associazioni di categoria (agricoltori in primo luogo) etc. così da poter poi passare ai progetti esecutivi, cui, infine, dovranno seguire i lavori. Ovvero, mesi, anni… Ecco perché, al momento, dopo i tanti e risolutivi interventi eseguiti con ‘somma urgenza’ dall’Agenzia regionale per la sicurezza del territorio e finalizzati a ripristinare e consolidare gli argini distrutti, dei grandi lavori sui fiumi a monte e a valle della via Emilia, cui attualmente si fa rabbiosamente riferimento, in primo luogo casse di espansione, allagamento, laminazione, non v’è ancora alcuna traccia, ma vi sono solo parole. Allora, partendo proprio dai contenuti del Piano speciale preliminare, vediamo quali siano i fronti e le soluzioni che devono garantire "adeguati livelli di sicurezza per centri abitati e infrastrutture, tenendo conto, laddove possibile, delle esigenze di tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità" (i boschi fluviali). Gli interventi dovranno riguardare "la realizzazione e il completamento delle casse di espansione, l’abbassamento dei piani golenali nei tratti maggiormente pensili e la tracimazione controllata al di fuori delle arginature principali" oltre al "potenziamento della rete di bonifica".
Dovrà anche essere messo in campo un sistema che permetta di "mitigare gli apporti dei flussi delle acque meteoriche garantendone l’immissione nei canali di scolo". Scendendo più in particolare, il Piano preliminare individua fra gli interventi "l’aumento della capacità idraulica dei fiumi nei tratti arginati attraverso l’adeguamento localizzato delle quote di sommità arginali e l’abbassamento dei piani golenali nei tratti maggiormente pensili". Dato che i fiumi della nostra provincia, Santerno, Lamone, Senio, Ronco, Montone e Savio, dalla via Emilia al mare corrono fra altissimi argini se ne deduce che tutti potranno essere interessati all’innalzamento degli argini ove necessario e anche all’approfondimento dei terreni golenali (ricordiamo che molti di questi terreni sono coltivati): e la quota di riferimento "potrebbe essere fissata pari alla quota del piano di campagna esterna" all’alveo. In tale contesto il Piano indica anche la necessità di intervenire, per adeguarle, sulle "infrastrutture maggiormente critiche e incompatibili con il deflusso delle piene": vale a dire che i ponti bassi, stradali o ferroviari (come quello di Boncellino, ma non solo) devono essere rifatti. E veniamo alle casse di espansione, laminazione e aree di allagamento. Si legge nel Piano che nel tratto montano, collinare e pedecollinare, l’obiettivo è quello di "mantenere come aree di laminazione le attuali aree allagabili e allagate" sia sedici mesi fa sia una settimana fa, ovviamente se prive di costruzioni mentre se in tali aree vi sono case, l’impostazione è quella di delocalizzarle non prevedendosi opere di difesa se non il mantenimento di eventuali argini privati e il loro rifacimento se abbattuti dalla piena.
Per quanto riguarda il Lamone la soluzione viene individuata nella "attuazione di opere strutturali di laminazione nel tratto fra Brisighella e Faenza", mentre nel tratto arginato di pianura "gli interventi strutturali devono essere finalizzati al miglioramento della stabilità e resistenza del sistema arginale esistente e a massimizzare la capacità di portata attraverso ri-sezionamenti, regolarizzazioni dell’alveo e gestione opportuna della scabrezza" ovvero le irregolarità che aumentano la resistenza al fluire (gli alberi, i ponti bassi ad esempio), mentre potranno essere messi a quota uniforme gli argini che presentano depressioni: resistenza al fluire e argini a onda favoriscono la tracimazione (come a Boncellino) e la conseguente erosione conduce alla rotta (come probabilmente è accaduto a Traversara). Inoltre nel tratto fra Faenza e l’A 14 "andranno individuate aree a minor vulnerabilità dove valutare l’efficacia di tracimazioni controllate". In analogia con quanto è da prevedere lungo il Marzeno dove nel tratto montano dovranno essere difesi gli abitati e le attività, mentre a ridosso di Faenza dovranno essere attuate opere di laminazione (già previste dal 2011!). Ma va da sé che, anche in presenza di tali lavori, onde evitare piene rischiose dovranno prevedersi – si legge nel Piano – aree di campagna da arginare e da destinarsi ad esondazione controllata attraverso opportuni lavori da effettuare sugli argini. Dovrà trattarsi di aree provviste di un sistema di fossi e canali adeguati per far defluire l’acqua accumulata. Per quanto riguarda il Senio il Piano preliminare sottolinea come nel tratto di pianura il fiume sia molto ristretto dagli argini comportando ciò "limiti della capacità di portata" e pertanto occorre "accrescere la laminazione delle piene" nel tratto a monte della via Emilia.
In particolare fra Riolo e Casola il corso fluviale deve essere il più ampio possibile, magari realizzando opere di difesa di abitazioni e attività; fra Riolo e Tebano "è prioritario" il completamento della cassa di Cuffiano (il primo progetto risale a 30 anni fa!), mentre fra Tebano e Castel Bolognese dovranno essere previsti "un sistema difensivo per proteggere Castel Bolognese", la "creazione di golene chiuse in sinistra e il coinvolgimento dell’area di confluenza in destra fra Senio e rio Celle" (al ponte del Castello). Tra la via Emilia e la Chiusaccia e in particolare a monte del ponte dell’A14, dovranno essere sfruttate a mo’ di invaso le aree golenali, "valutando l’opportunità e l’efficacia di abbassamenti dei piani golenali e locali arretramenti del sistema difensivo arginale" fino alla previsione di aree di tracimazione controllata.