Ravenna, la città del professor Francesco Santacroce

di Paolo Casadio

C’è una piazza ravennate che non figura nella toponomastica, ed è la piazza immateriale dei social. Qui si ritrovano persone - note alla piazza reale - vuoi per affinità di pensiero, vuoi per appartenenze partitiche, proseguendo nella dimensione virtuale quelle discussioni infervorate che una volta animavano circoli e osterie. Il carattere locale è viscerale, animoso, tale da riconoscersi in quei “parlamenti” spontanei che si costituivano nelle botteghe del barbiere, dando luogo a infervorate dissertazioni sovente dedicate ai massimi sistemi.

La piazza immateriale propone i medesimi meccanismi, allargati però alla più vasta platea del social. Ma, a differenza dei parlamentini d’una volta, nutriti dalle letture dei quotidiani, s’alimenta del companatico presente in rete: ed è risaputo che nel web circola parecchia carta igienica spacciata per banconota autentica. Così mi accade di leggere mirabili esercizi funambolici sul pericoloso, irresponsabile conflitto in atto, in cui stimati concittadini si distinguono per l’indefesso consumo di prosciutto per uso oftalmico. Certezze granitiche, categoriche fedi, ferrei schieramenti, totalitaria adesione ai deliberata dell’ideologia. Queste allocuzioni non sono mie: appartengono alla retorica del ventennio, ma purtroppo ben s’attagliano all’oggi. Pochi esprimono dubbi, e a loro va la mia più schietta stima. Abbiamo bisogno di dubbi, padri del ragionare.

Ricordo con rimpianto, perché ebbi il privilegio di conoscerlo, il professor Francesco Santacroce (di cui lo scorso 9 aprile ricorreva il nono anniversario della scomparsa). Un uomo mite, generoso, di rara gentilezza e intelligenza, d’una apertura mentale davvero senza confini che lo portava a interrogarsi su qualsiasi argomento. Proverbiale restò quella sorta di contraddizione espressa: "Leggendo Il Popolo diventavo comunista, leggendo L’Unità tornavo democristiano", ma ben rispecchiava il suo formidabile senso critico. Aveva l’abitudine di scrivere lunghe lettere agli amici e ne conservo una, scritta sul retro d’una fotocopia, di cui trascrivo: "Credo anzitutto nell’amore, credo nella semplicità e nel primato della coscienza; e cercate di non vivere isolati". Tesseva rapporti col mondo, tant’è che quando una nave nostrana carica di aiuti umanitari attraccò al porto di Haiphong, vedendone l’origine i nordvietnamiti esclamarono "Ravenna, la città del professor Santacroce!".