Suicida a Ravenna, l'Sos di Giuseppe: "Sono un uomo che muore"

Ecco il testo della canzone scritta dal ragazzo, in cui racconta tutta la sua disperazione

Carcere (foto repertorio)

Carcere (foto repertorio)

Ravenna, 1o novembre 2022 - Di seguito un testo che Giuseppe - il 23enne suicida in carcere - ha scritto durante i giorni trascorsi in cella.  Le parole, originariamene scritte per una canzone, illustrano la sofferenza per la detenzione, l’amore che provava per la ex compagna e il timore di non avere un futuro. Particolarmente toccante il passaggio in cui lamenta che non un solo amico era mai andato a trovarlo

"Sono al fresco, ma qui dentro 30 gradi ci sono. Quelli come me, nella vita non sono stati mai bravi. Arriva quel momento in cui gli sbagli poi li paghi, qui dentro soffri e non ci sono papi e mami. Ho fatto un casino per niente, potevo star calmino. Sto piangendo, c’è il cuscino tutto bagnato, non c’è futuro, se vivi nel passato. Si comportano da amici ma non lo è nessuno, dimmi qualcuno che è venuto a trovarmi, almeno uno. Non bastan psicofarmaci a salvarci, ma persone a consolarci. Vorrei spiegare cos’ho dentro, ciò che sento, un sentimento di totale fallimento! La vita è dura dentro queste mura, nella mia anima ci sono i sogni dell’usura, non vedo una prospettiva futura. Non ho più l’allegria e nemmeno l’energia, ho nostalgia, non mi serve una terapia, io voglio andare via.

Io sono difficile da amare, per me ci sono lacrime amare, non c’è nulla che sto vuoto può colmare. Mi sono spezzato il cuore, sono il ritratto di un uomo che muore. Tutti infami dalle parti mie, ho preso strade sbagliate e pure le vie, ho perso i rapporti, ma vi porto acconti, pure la mia ex mi denuncia per stalking. Avevo te ma nemmeno mi bastava, eri tutto ciò che un uomo desiderava, ma son fatto così, non mi cambi, pazzi entrambi, ci sentivamo grandi, guardavamo avanti, eri la mia regina, io un semplice fante, poche risposte a troppe domande. La nostra storia è finita, voglio perdere la memoria per quello che per me sei stata.

La vita è dura come queste mura, nella mia anima i segni dell’usura, non vedo una prospettiva futura. La guardia che mi chiede: ‘Giuseppe come stai?’. Io che rispondo: ’Sai, starei meglio, senza questi guai. Dai Gausi che ce la fai’. Scrivo queste barre da dietro queste sbarre. Dice il saggio, forza e coraggio, la galera è di passaggio, io non mi godo più un paesaggio, dalla finestra splende un raggio, sono io che si becca qui l’oltraggio. Racconto solo quello che ho vissuto, in un minuto, cambi idea se mi ascolti muto, per gli infami ho sempre avuto un certo fiuto, arriva Gausi e chiede aiuto, prenderò ciò che mi è dovuto e quello che ho voluto!

Giuseppe Defilippo

(Gausi Amaro)