Suicida in carcere a Ravenna: "Anche l’Ausl ne risponda"

Per la morte del 23enne è indagato lo psichiatra del carcere. La famiglia chiede la responsabilità civile dell’azienda sanitaria

Giuseppe Defilippo morì il 16 settembre 2019

Giuseppe Defilippo morì il 16 settembre 2019

Ravenna, 10 novembre 2022 - "Questo è stato un grande traguardo, da come tutto era partito pensavamo di non farcela, ma da questa mattina comincio ad avere più speranza di giustizia. So che ci saranno tempi lunghi ed emotivamente per noi familiari sarà pesante, ma andiamo avanti". Elisabetta Corradino è la mamma di Giuseppe Defilippo, il 23enne morto suicida in carcere il 16 settembre 2019 dopo un mese di detenzione in custodia cautelare. È stata lei, la madre, a non arrendersi e a far riaprire un caso che pareva destinato all’archiviazione.

Ieri mattina si è aperta l’udienza preliminare che vede indagato per omicidio colposo lo psichiatra della casa circondariale di via Port’Aurea, difeso dagli avvocati Delia Fornaro e Guido Maffuccini.

Intanto la famiglia da un lato si è costituita parte civile con la tutela dell’avvocato forlivese Marco Catalano, dall’altro ha chiesto al giudice l’autorizzazione a citare come responsabile civile l’Ausl e l’assicurazione dello specialista. Quest’ultimo è infatti un consulente esterno del carcere, ma è accreditato come medico dell’azienda sanitaria, che potrebbe così entrare nel processo ed essere chiamata a risarcire. Il Gup Andrea Galanti ha riaggiornato l’udienza a marzo 2023, quando valuterà questa richiesta e, prima tra tutte, quella già avanzata dalla Procura di rinvio a giudizio dello psichiatra. La famiglia, di origini calabresi, ha abitato a Cervia per 23 anni. Dopo la morte di Giuseppe i genitori sono tornati a Catanzaro, la madre è un’insegnante e il padre uno chef.

In seguito all’iniziale richiesta di archiviazione, Elisabetta Corradino aveva chiesto ulteriori verifiche allegando documentazione medica di parte secondo la quale i campanelli d’allarme per capire la gravità della situazione si erano ampiamente manifestati. Giuseppe in carcere era finito per un’accusa di furto, cui si era aggiunta quella di stalking da parte della ex fidanzata. Era in attesa della risposta di una comunità di recupero di Marradi, ma dopo meno di un mese dall’inizio della detenzione fu trovato impiccato. Nel frattempo lo psichiatra che lo aveva visitato gli avrebbe abbassato lo stadio di vigilanza, da media a bassa, e da qui l’accusa a suo carico.

In uno scritto pensato come testo di una canzone Giuseppe, che firma con lo pseudonimo ’Gausi Amaro’, aveva manifestato tutto il proprio disagio. Nel testo pone in evidenza tutta la propria sofferenza per la detenzione in cella, l’amore che provava per la ex compagna e il timore di non avere un futuro. Particolarmente toccante il passaggio in cui lamenta che non un solo amico era mai andato a trovarlo.