Una vita tra i malati In pensione Marzia Pagani "Lascio dopo 42 anni Questa è la mia famiglia"

In febbraio terminerà il suo incarico la coordinatrice di infermiere e ostetriche "Qui trattiamo le persone come se fossero le nostre mamme o sorelle. Alle colleghe chiedo ogni giorno come stanno. E prima del Covid le abbracciavo".

Una vita tra i malati   In pensione Marzia Pagani  "Lascio dopo 42 anni  Questa è la mia famiglia"

Una vita tra i malati In pensione Marzia Pagani "Lascio dopo 42 anni Questa è la mia famiglia"

"Ma lo sa che mi dispiace andare in pensione?". C’è chi non vede l’ora di dire addio al proprio lavoro e c’è invece chi vorrebbe spostare in avanti la scadenza. è il caso della dottoressa 59enne voltanese Marzia Pagani, responsabile del coordinamento infermieristico e ostetrico del Centro di Prevenzione Oncologica di Ravenna, Faenza e Lugo.

Dottoressa Pagani, quando lascerà il suo incarico?

"Il 26 febbraio 2024. E sa, dopo tanto tempo, mi dispiace".

Quando ha iniziato la sua attività qui al Centro?

"Iniziai a lavorare 42 anni fa, qui nello specifico il 9 febbraio del 1989. Quando tempo è passato?".

Parecchio. Dispiaciuta perché finisce un pezzo di vita importante?

"Eh sì. Sa cosa dico alle giovani colleghe quando vengono a lavorare qui? ’Dovete considerare il Centro come una famiglia. Ed è proprio così. Questa è una famiglia. Siamo proprio felici di lavorarci".

E le nuove arrivate recepiscono il messaggio?

"Assolutamente sì. Imparano subito che qui si lavora davvero come se fossimo una famiglia vera e propria. Ed è quello che in realtà siamo, perché passiamo più tempo qui che con le nostre vere famiglie. E dunque perché non cercare di stare bene?".

Quante persone coordina?

"In totale siamo 38, tra infermiere, Oss e assistenti divise tra Ravenna, Faenza e Lugo".

Quali sono le difficoltà che incontra nel coordinare una quarantina di persone, ognuna delle quali con la propria vita, il proprio carattere e via dicendo?

"Qui ci sono mamme con bambini piccoli, colleghe che hanno avuto parenti seguiti al Centro di Prevenzione Oncologica e tanti altri casi. Il segreto? Andare incontro alle esigenze delle colleghe. Questo avviene, perché c’è un gran bel clima e, come dicevo, io vengo a lavorare contenta. Pensi che avevo 260 giorni di ferie da smaltire".

Riuscirà a godersele?

"Adesso me ne restano 140, per cui di fatto finirò di lavorare in ottobre per andare poi ufficialmente in pensione nel febbraio del prossimo anno. Se sarà possibile, vorrei dare questi giorni a qualche collega".

Facciamo finta che lei sia già in pensione: cosa le ha dato questa esperienza umana e professionale?

"Mi ha lasciato tanto. Quando hai davanti una persona in un centro oncologico, deve sempre pensare una cosa: ’Potrebbe essere mia mamma, o mia sorella’. E devi trattarla come vorresti fosse trattata una persona a te cara. Dobbiamo fare questo. Per cui mi sento di dire che non è un lavoro, il nostro, ma una missione".

Dare notizie anche drammatiche a un altro essere umano deve essere difficile. In qualche modo ci si abitua?

"L’abitudine ce la si fa. Però so bene cosa si prova quando viene detto che si ha un tumore, perché ci sono passata anch’io due volte".

Come si reagisce?

"Sembra strano, ma come si vede nei film o si legge nei libri, in quei casi davvero ti passa tutta la vita davanti agli occhi. E poi si pensa ai propri affetti".

Tornando alla difficoltà nel dare brutte notizie...

"Dire a una donna di 28 o 30 anni che ha un tumore alla mammella è pesante. Il nostro lavoro è anche questo. Almeno una parte. Poi le pazienti qui vengono seguite in tutto il loro percorso, dalla diagnosi fino all’assistenza post-intervento".

Nel corso degli anni come è cambiato l’approccio dei pazienti alla struttura?

"Grazie a tanto lavoro ha preso piede la cultura della prevenzione, che un tempo era assente. Negli anni ’90 spesso le donne si rivolgevano a noi al manifestarsi dei sintomi, quando oramai era troppo tardi. Per questo è importante effettuare gli screening, per prevenire e nel caso avere una diagnosi precoce".

Ci dica, com’è la sua giornata tipo?

"Io arrivo qui alle 7, quando potrei arrivare alle 9. Poi, alle 8.30, quando ci sono le colleghe, inizio a salutare tutti e a chiedere come stanno. Prima del Covid facevo una cosa che mi piaceva molto: le abbracciavo una per una. Peccato non poterlo più fare".

Un’ultima cosa: ma non si annoierà in pensione?

"Ma no (ride). Io sono anche presidente del Centro sociale Ca’ Vecchia di Voltana, che fa un sacco di attività, come per esempio il trasporto anziani. No, le cose da fare sono tante, non mi annoierò di certo".

Luca Bertaccini