ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Abusò della minore, condannato

Tre anni e quattro mesi al 49enne di nazionalità cinese: violentò una sedicenne che lavorava nel suo locale

di Alessandra Codeluppi

Sciolto l’ultimo dubbio riguardante il lavoro svolto dall’imputato all’epoca dei fatti contestati, ieri la Corte di primo grado ha emesso il verdetto, riconoscendolo responsabile di violenza sessuale su minore: la condanna è di 3 anni e 4 mesi, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Lui è un 49enne cinese, accusato di stupro su una ragazza connazionale di 16 anni che nel 2012 lavorava in un locale da lui gestito a Carpi.

All’esito di una vivace discussione, il pm Piera Cristina Giannusa aveva chiesto 6 anni di pena, mentre la difesa - affidata agli avvocati Carmine Migale e Flavio Sandoni - l’assoluzione. Nella scorsa udienza il collegio dei giudici - presieduto da Simone Medioli Devoto, a latere Chiara Alberti e Michela Caputo - era uscito dalla camera di consiglio rimandando la sentenza e incaricando la Procura di verificare se il 49enne fosse stato ai tempi gestore di quell’attività pubblica.

Ieri mattina il pm ha prodotto la visura camerale in cui si attestava che nel 2012 l’imputato risultava in effetti socio accomandatario.

Secondo la ricostruzione investigativa, la ragazza si era trasferita a Carpi per lavorare nel locale e dare un contributo economico alla famiglia. La sera prima lei, il suo fidanzato e alcuni amici cinesi avevano festeggiato al ristorante e al karaoke.

Lei non era rientrata a casa, ma era rimasta lì fino al giorno dopo, quando l’imputato la accompagnò dal dentista.

Poi, a detta del pm, lui la portò in una casa a Reggio e approfittò del fatto che lei non stava bene, perché stordita dall’anestesia data dall’odontoiatra.

Giannusa aveva rimarcato il dissenso della 16enne.

La difesa aveva sollevato, e ribadisce, diversi dubbi.

Ad esempio sul presunto stato di inferiorità della ragazza: quella sera era stata lasciata dagli amici nel locale, avendo forse una relazione di amicizia con l’imputato. I legali avevano anche rimarcato l’assenza di un contratto di lavoro.

E il fatto che lei non conoscesse neppure il nome dell’uomo.

Infine, avevano sottolineato che dalla visita medica non erano emersi né lo stato di choc né lesioni intime.

"Il nostro assistito sostiene di non aver mai commesso alcuna violenza - dichiara l’avvocato Migale - . Leggeremo le motivazioni della sentenza e poi faremo appello".