Caso Saman, il cugino continua a negare tutto E sul perché della fuga risponde: "Per paura"

Dopo nove ore di interrogatorio non sono emersi elementi utili per trovare il corpo della diciottenne, che si presume sia stato occultato nei campi

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di Alessandra Codeluppi

"Sono fuggito dall’Italia perché avevo paura". Ha ripetuto più e più volte, quella parola, "paura", Ikram Ijaz, davanti al pm Laura Galli. Lui, il 28enne cugino di Saman Abbas, e la titolare dell’inchiesta sulla scomparsa della ragazza di Novellara, sono stati faccia a faccia, venerdì, per quasi nove ore, nel carcere della Pulce dove lui è detenuto dal 9 giugno, dopo essere stato estradato dalla Francia. Il giovane era stato fermato im Francia, a Nîmes, il 21 maggio e portato in un centro per stranieri: per lui era nel frattempo scattato il mandato di cattura europeo e, una volta identificato, era stato consegnato dalla polizia d’Oltralpe per essere poi consegnato ai carabinieri.

All’interrogatorio con il pm aveva chiesto lui stesso di essere sottoposto per dare chiarimenti sulla propria posizione: l’incontro è iniziato alle 15.30, quando l’afa ancora imperversava nelle campagne intorno al penitenziario, ed è proseguito ininterrottamente con il calare delle luci, per poi concludersi sforando nel giorno dopo, a mezzanotte e venti. In presenza di Stefano Bove, comandante del reparto operativo dei carabinieri e del maggiore Maurizio Pallante, alla guida del nucleo investigativo, oltreché del pm Galli, e degli avvocati difensori Domenico Noris Bucchi e Luigi Scarcella (nella foto), al giovane, affiancato dell’interprete, è stato inizialmente prospettato a lungo e con abbondanti spiegazioni quali conseguenze potesse comportare per lui l’eventuale scelta di collaborare con gli inquirenti.

Durante l’interrogatorio di garanzia avvenuto davanti al gip Luca Ramponi, Ijaz si era avvalso della facoltà di non rispondere, ma aveva negato con forza gli addebiti, dicendosi "del tutto estraneo alla scomparsa di Saman". Una linea, quella dell’autodifesa, che il giovane ha mantenuto anche venerdì davanti al pm, quando su di lui sono fioccate tantissime domande. Una su tutte, cosa ci facesse, insieme all’altro cugino Nomanulhaq Nomanulhaq e allo zio Danish Hasnain - indagati e latitanti così come i genitori di Saman - con pale e un piede di porco dietro l’azienda agricola di Novellara, dove sono stati immortalati dalle telecamere il 29 aprile, due giorni prima della scomparsa di Saman: per la Procura avrebbero scavato la fossa dove seppellire la 18enne, ma dall’interrogatorio di venerdì non sarebbe emersa un’indicazione decisiva su dove lei potrebbe essere eventualmente occultata.

Secondo il racconto del fratello minore di Saman, Ijaz avrebbe avuto anche un ruolo più pesante: il 16enne aveva detto che il 30 aprile i due cugini erano arrivati a casa per dare man forte allo zio Hasnain, quando quest’ultimo fu chiamato da Shabbar Abbas, padre di Saman, perché la figlia voleva di nuovo fuggire. Secondo il gip, Ijaz e Nomanulhaq avrebbero dunque anche aiutato Hasnain a bloccare Saman per poi ucciderla. Dopo nove ore di colloquio con l’unico dei ricercati finora bloccato, i misteri da sciogliere restano ancora tanti.

All’uscita dal carcere, oltre la mezzanotte, i due avvocati difensori non entrano nei dettagli: "Ijaz ha risposto a tutte le domande poste in queste lunghe ore e ha chiarito la sua posizione". Se si sia detto estraneo ai fatti, o abbia dato indicazioni su dove sia la ragazza, i legali ribadiscono: "Non possiamo dichiarare il contenuto delle sue dichiarazioni".

Anche sull’indiscrezione trapelata di un ricorso al tribunale del Riesame per ottenere la scarcerazione di Ijaz, con udienza fissata nei prossimi giorni, mantengono il riserbo: "Preferiamo non rispondere".

A oggi la strada per risolvere il giallo di Saman sembra ancora lunga e in salita. Soprattutto in assenza del corpo, ancora disperso tra i campi della campagna Novellarese.