Ma la nostra auto un po’ ci somiglia?

Fotografia, Paolo Pelosi Bonini ad Arles coi suoi scatti che indagano il rapporto proprietario-macchina

Ma la nostra auto un po’ ci somiglia?

Ma la nostra auto un po’ ci somiglia?

Paolo Pelosi Bonini è in partenza per Arles, in Provenza, dove le sue fotografie si trovano esposte dal 1° marzo al Festival Impulse, rassegna professionale della fotografia amatoriale ed emergente, ma l’attenzione sarà tutta per il weekend inaugurale del 19-20-21 aprile, quando il fotografo reggiano (1966) potrà mostrare ‘Segua quella macchina!’, progetto che gli sta molto a cuore.

Galeotta una vecchia fotocamera trovata in soffitta da bambino, Paolo finirà con l’affiancare al lavoro in banca il suo amore per la fotografia, che lo porterà svariate volte al circuito Off di Fotografia Europea, mentre numerosi suoi scatti vengono pubblicati su Photo Vogue.

Partiamo dalla vecchia macchina a soffietto. Qual è stato il primo impulso? Usarla o collezionarne altre?

"Assolutamente usarla. Andai con mio padre dal mitico fotografo Artioli per sapere se si trovassero ancora i rullini e da lì non mi sono più fermato. Posseggo ancora quella macchina e tutte le altre che ho utilizzato negli anni successivi; confesso, però, che il fine giustifica i mezzi, perciò a volte sfrutto il cellullare per non perdere scatti improvvisi".

Com’è avvenuta la selezione da parte dei giurati di Arles?

"Alcuni miei portfolios sono stati pubblicati sulla rivista on line francese ‘L’Oeil de la Photographie’; è proprio da questo sito che la curatrice del Festival di Arles, Martine Montegrandi, ha visionato e scelto il progetto ‘Segua quella macchina!’, in cui ho cercato di sondare il legame che lega le auto ai loro proprietari".

Prendendo il titolo della sua mostra, che cosa deve fare un fotografo, per essere un buon fotografo? Cercare il momento giusto o inseguirlo?

"Credo che non sia sufficiente la fortuna, anche se spesso la casualità aiuta ad arrivare a un grande scatto; è molto importante pensare a come realizzare un progetto e dedicarvi tanto tempo e tante energie. Cartier-Bresson ci ha insegnato che bisogna cercare ‘il momento giusto’, ma immagino che anche lui spendesse tante energie per inseguirlo e trovarlo".

Lei ha usato l’annuncio ‘Mind the gap’ come titolo di un progetto anche per rivelare come vedeva Londra da ragazzo, ovvero ‘un gradino più su’. Con quella serie è riuscito a colmarlo, quel gradino? E di quali altre città del mondo vorrebbe colmare il gradino?

"’Chi è stanco di Londra è stanco della vita’, diceva Samuel Johnson… Non mi stancherò di fotografarla, perciò il gradino, probabilmente, non si colmerà mai. Amo viaggiare, dunque tutto il mondo".

Quale immagine ha scelto per i segnalibri della Libreria del Teatro?

"Sono molto legato a quella fotografia…mi ricorda un bel pomeriggio trascorso a Modena. E’ l’immagine di una scala di un palazzo storico utilizzato per esposizioni; mi piace l’equilibrio delle sue linee, la sua sobrietà ed eleganza. Allo stesso tempo rappresenta ai miei occhi un’idea di elevazione dello spirito".

Che cosa la distingue dagli altri fotografi?

"Sono un grande lettore di libri fotografici fin da ragazzo. Come l’educazione avuta da bambini viene a galla in ogni nostro comportamento anche quando diventiamo adulti, così le immagini e i messaggi dei grandi fotografi credo appaiano nelle immagini che produciamo. Sono però sempre alla ricerca di un messaggio originale e personale; nei ritratti cerco di far uscire il carattere della persona, le sue attitudini e il legame che c’è tra me e i soggetti ritratti. Nei paesaggi cerco di trasmettere le emozioni e gli stati d’animo che il mondo suscita in me".

Si è riconciliato con il suo lavoro in banca?

"Ah ah ah! E’ un lavoro che giudico un po’ freddo, perciò da sempre cerco di mettere molta umanità negli incontri con i clienti. E spesso salta fuori il discorso fotografico! Diventa tutto più bello".

Qual è la prima immagine che l’ha emozionata?

"Gli affreschi della Chiesa che frequentavo da bambino con i miei genitori; durante la Messa mi ritrovavo spesso a naso all’insù ad ammirarli".

Viste le ispirazioni stilistiche e vagamente cinematografiche, quali sono i libri e i film della sua vita?

"‘L’amico ritrovato’ di Fred Uhlman, Italo Calvino, ‘Lettere contro la guerra’ di Terzani, tutto Simenon. Amo i fumetti: Hugo Pratt, Magnus, Vittorio Giardino. Tra i film, ‘Il sorpasso’, ‘The Road’, tratto dal libro di Cormac McCarthy, ‘Indian’ con Anthony Hopkins, ‘Frantic’ con Harrison Ford, ‘Vite sospese’, ma potrei elencarne a decine come i libri".