Mafie, il grido d’allarme di Paci: "Qui viste cose che neanche al sud"

Il procuratore capo: "La risposta non può essere lo smantellamento di intercettazioni e interdittive"

Mafie, il grido d’allarme di Paci: "Qui viste cose che neanche al sud"

Mafie, il grido d’allarme di Paci: "Qui viste cose che neanche al sud"

Con la criminalità nel nord Italia, e in Emilia-Romagna in particolare, "è accaduto di tutto, anche di più rispetto a quello che è accaduto nelle terre tradizionalmente vocate all’adesione al sistema di potere mafioso", nel sud Italia. E, soprattutto, si tratta di un processo in piena attività anche oggi. Il ricorso al sistema bancario europeo, infatti, ormai "è diventato una necessità per criminalità organizzata: si va in Europa perché non ci sono controlli, già a livello normativo. C’è un’esternalizzazione" nell’azione delle mafie, torna quindi al punto iniziale Paci, che "non è più circoscrivibile alle regioni del sud. Anzi". E la risposta a tutto questo "non può essere lo smantellamento di intercettazioni e interdittive". Avvisa così Calogero Gaetano Paci, procuratore capo da un paio d’anni a Reggio Emilia dopo aver lavorato a Reggio Calabria, con diverse inchieste sui clan della piana di Gioia Tauro. Paci ne parla animando ’Non è finito niente. Niente!’, un incontro antimafia di scena ieri in Cineteca a Bologna. Il titolo è mutuato dalle dichiarazioni di Antonio Valerio, collaboratore di giustizia nel processo Aemilia, e ai lavori si fa il punto sul secondo rapporto curato dall’associazione Law (Legalità e diritti al lavoro) della Cgil Emilia-Romagna, a due anni dalla conclusione di Aemilia.

Tra gli altri numeri del rapporto, ripercorso dalla docente dell’Alma Mater Stefania Pellegrini, si evidenzia ad esempio che nel 2022 in Emilia-Romagna quasi nove miliardi di euro sono stati spesi nel gioco d’azzardo ’legale’, oppure che nel 2023 la Banca d’Italia ha registrato un incremento di segnalazioni di operazioni sospette del 5% (sono stati 821 ogni mese, con il territorio di Modena maglia nera in Emilia-Romagna e tra i peggiori a livello nazionale). Ma riprende Paci, aggiungendo tra le pieghe di Aemilia: "Io non avevo mai visto campagne di stampa orchestrate in tv a colpi di ‘bazookate’ nei confronti della Prefettura o di quei politici, pochi, che cercavano di tenere alta l’attenzione antimafia. Lo dimostrano le condanne di persone che usavano il proprio ruolo giornalistico, mediatico, per produrre sistematiche campagne di controinformazione. È un unicum, c’è poco da fare", scuote la testa il procuratore ancora oggi. E tutto questo "è accaduto – rincara Paci – senza che nessuno mettesse in campo i famosi anticorpi, che pure l’Emilia e il nord hanno. Non ci possiamo permettere il lusso di arrivarci tra altri 10 anni, magari, e chiederci ‘perché non ce ne siamo accorti prima’. Dobbiamo chiamare in campo quindi tutti i soggetti istituzionali" del caso, "perché hanno il dovere di farlo, ma anche sociali, e dire loro che devono sapere quello che succede e che le indagini documentano".

Oggi la frode fiscale, si allarma il pm, è diventato il meccanismo tramite cui la criminalità organizzata rinuncia ai metodi violenti che hanno caratterizzato il suo passato, nei confronti delle imprese estorte, e trasferisce il peso dell’estorsione in capo allo Stato "facendo contenti tutti: l’estorto e l’estortore. È un meccanismo seriale, ormai, accertato in Emilia prima ancora di Aemilia” avviata con gli arresti del gennaio 2015. Questo meccanismo, conferma allora Paci, "continua tuttora e queste cose vanno dette: non devono rimanere soltanto nelle stanze dei magistrati, ma deve farsene carico la società". Nel corso delle indagini anche recenti "mi imbatto costantemente in imprese che sistematicamente non producono alcun bene o servizio, ma si occupano solo di false fatturazioni, che vengono acquistate a pacchetti di 50 o 100 migliaia di euro e oltre, da società nazionali, anche importanti e con brand" noti.