Occupazione femminile. A Reggio più bassa che in regione. Pesano i costi di figli e anziani

Nella fascia 35-49 anni la nostra città raggiunge il 69% di lavoratrici, mentre in Emilia-Romagna il 77%. A preoccupare ancora di più è il numero delle inattive, che non cercano lavoro: quattro volte peggio che altrove.

Occupazione femminile. A Reggio più bassa che in regione. Pesano i costi di figli e anziani

Occupazione femminile. A Reggio più bassa che in regione. Pesano i costi di figli e anziani

Il World Economic Forum ha fatto un conto, di quelli spietati: per raggiungere la piena parità tra uomini e donne dovremmo attendere l’anno 2154. Vale a dire fra 135 anni. In questa classifica globale, che comprende 146 paesi, l’Italia si posiziona solo 79esima. Ha rincarato la dose il Fondo Monetario Internazionale: il gender pay gap ci costa l’11% del PIL ogni anno. Numeri che portano l’analisi in planata su Reggio e sul futuro delle donne nel nostro territorio.

Il tasso di occupazione femminile raggiunge il picco del 69% nella fascia d’età 35-49 anni, a fronte di un 77% regionale. Nella medesima fascia d’età, il tasso di disoccupazione femminle a Reggio è però il doppio di quello maschile. Deve far riflettere il fatto che la percentuale del tasso di inattività (cioé chi non cerca lavoro) a Reggio è quattro volte peggiore se parliamo di donne.

Essere donna ed essere lavoratrice resta sostanzialmente la montagna da scalare: nel 2023 la Regione ha reso noto che il 70% delle donne che chiedono un part time lo fanno per poter gestire la famiglia. Figli e anziani. Un dato che ha la sua solida radice anche a Reggio Emilia e certifica che le due grandi emergenze sociali su cui la Comunità è seduta – inverno demografico e invecchiamento della popolazione. Al 2035 più del 22% dei cittadini saranno over 65 anni – passano inesorabilmente per una gestione della questione femminile.

Questione che richiede un approccio di rete e scelte coordinate: quando il reddito medio netto di una famiglia (dato Istat) cuba 32.000 euro, quando un bimbo inserito in un nido a Reggio Emilia arriva a costare 13.000 euro nel triennio, quando gli affitti raggiungono le stelle e il diritto alla casa diventa un miraggio, emerge chiaramente da dove principia la scelta di considerare la genitorialità un lusso insostenibile. Le politiche pubbliche a supporto delle donne – e quindi delle famiglie – sono una leva, nell’altra metà campo dei luoghi di lavoro si gioca il resto della partita.

A Reggio Emilia ci sono esempi virtuosi che potrebbero essere replicati, creando un modello. Uno di questi è quello dell’accordo raggiunto nel 2023 in Kohler Lombardini, una delle mecche dell’industria manifatturiera reggiana. Qui azienda e sindacati hanno concordato l’aumento della retribuzione dei congedi parentali, con l’obiettivo di incentivare i signori papà a compiere questa scelta, condividendo il lavoro di cura del figlio appena arrivato. Si parte da un numerino desolante: in Italia solo il 20% dei padri fa questa scelta.

Ma non solo: l’azienda ha accettato di includere nel concetto di responsabilità sociale il riconoscimento della gravità del problema della violenza di genere, invitando il personale alla denuncia e prevedendo ore di formazione obbligatoria in orario di lavoro. Suona come un auspicio, infine, il fatto che alla vigilia dell’8 marzo sia arrivato un contratto nazionale che porta vero ossigeno nel settore della cooperazione sociale, nel quale grosso modo il 70% del personale è donna: mediamente 2000 euro in più, l’introduzione della quattordicesima e una maternità finalmente pagata a stipendio pieno.

La strada è ancora lunga ma è un inizio. Diciamolo, intanto, al World Economic Forum.