Poesia, Annovi finalista al Premio Strega

Il reggiano, docente in California, nella rosa dei migliori 12. "La lingua italiana? Svogliata, prende a prestito i termini stranieri"

Poesia, Annovi  finalista al Premio Strega

Poesia, Annovi finalista al Premio Strega

A una manciata di giorni dall’ingresso nei 12 finalisti al Premio Strega Poesia e in attesa dell’annuncio della cinquina, a maggio (non manca molto), abbiamo intervistato il poeta reggiano Gian Maria Annovi (1978), che ha convinto i selezionatori con la raccolta ‘Discomparse’ (Nino Aragno Editore). Annovi, che insegna Letteratura alla University of Southern California, dice dell’emozione provata al momento della notizia e del valore della poesia.

144 proposte, 12 finalisti allo Strega Poesia. Lei c’è.

"Entrare nella dozzina del Premio Strega Poesia è stata una piacevole sorpresa. Soprattutto perché ‘Discomparse’ è il frutto di quasi dieci anni di scrittura. Una scrittura intermittente, è ovvio, ma non per questo meno intensa. La visibilità che viene dal Premio Strega aiuterà forse il libro a comunicare con altri lettori, e questo, per me che vivo lontano dall’Italia, è il premio più grande".

Da quanto tempo vive e insegna a Los Angeles?

"Dal 2013. Restare è stata anche, ma non solo, una conseguenza del sistema universitario italiano, che reputo comunque ottimo, nonostante spesso lo si svilisca. Infatti non mi dispiacerebbe tornare in Italia, ma per questo serve un’Università che mi accolga. Vedremo".

E’ poeta da una vita, accanto alla professione di docente di Letteratura alla University of Southern California. Quali sono le linee tematiche della sua ricerca?

"Ho iniziato a pubblicare nel 1998. Avevo vent’anni. E sebbene la mia poesia si sia evoluta nella forma, i miei temi sono rimasti quasi immutati, primo tra tutti, il rapporto tra la soggettività radicale, qualsiasi essa sia, e il linguaggio che la comunica. È il tema, ad esempio, di un mio libro precedente, Kamikaze, un soggetto che è tale solo nel momento in cui esplode, cioè mentre disfa se stesso. La lingua della poesia deve saper parlare anche la lingua del kamikaze, che è poi quella dell’uomo che si autodistrugge distruggendo ciò che lo circonda: il mondo".

Lei ha scritto che le voci che abitano Discomparse danno parola agli "svociati, gli sfigurati del margine, che i discorsi dominanti negano, cancellano, dimenticano". Chi o cosa sono i discomparsi? E quale sarà il destino della nostra lingua?

"Le discomparse sono appunto quelle soggettività radicali di cui parlavo, non i protagonisti della Storia ma le sue comparse, che la società spesso giudica attraverso l’ignoranza o l’opportunismo politico. Penso, da emigrato quale sono, agli immigranti che arrivano nel nostro Paese, a coloro che nel passato hanno vissuto qui da schiavi e a chi ha subito il nostro colonialismo. Non è certo causa loro se l’italiano è diventato una lingua svogliata, che preferisce prendere a prestito i termini stranieri. Una lingua si rinnova laddove la si usa in maniera inconsueta, come nel caso di quella che cresce nella bocca di chi la sta imparando, anche facendo errori, a partire da una grammatica, una fonetica e una cultura diverse. Come accade ai migranti, appunto. Come è accaduto a me con l’inglese. La poesia è lì dove la lingua si trasforma".

Che cosa sono per lei presente, passato e futuro?

"È una domanda complessa. Posso solo dire che nella poesia presente, passato e futuro, in qualche modo, esistono solo come coesistenza. Un po’ come nel sogno, nell’inconscio, dove non esiste la dimensione del tempo. Se però andiamo oltre la condizione dell’individuo, questa coesistenza di presente, passato e futuro è anche la forma poetica che assume la Storia, in cui il presente siamo noi, e il futuro qualcosa che dipende anche dalle parole che scegliamo di leggere. Fino a prova contraria, nessuna poesia ha mai scatenato una guerra".

Ci dice qualcosa in merito a ‘Pier Paolo Pasolini: Performing Authorship’, sua recente pubblicazione accademica?

"Da vent’anni studio l’opera di Pasolini, che negli Usa è molto apprezzato nell’ambiente artistico e intellettuale. In quel libro ho raccolto parte della mia ricerca incentrata sull’analisi di come Pasolini abbia costruito la sua immagine di autore quasi si trattasse di una performance. In questo momento sto lavorando a quello che spero sarà il mio ultimo contributo su Pasolini, un saggio sui concetti di omosessualità, identità e politica nella sua opera tarda".