Scarcerato in Ungheria, Petroni è in Italia

L’ex assicuratore, condannato per truffa aggravata a 4 anni in primo grado, dovrà presentarsi in giugno al processo in Corte d’Appello

Scarcerato in Ungheria, Petroni è in Italia

Scarcerato in Ungheria, Petroni è in Italia

L’ex assicuratore Sergio Petroni è stato scarcerato in Ungheria. Non è ancora stato chiarito in Italia per quali reati fosse finito in cella, ma si trattava comunque di reati che non sono previsti in Italia. Per questo l’autorità giudiziaria ungherese non ha potuto farlo rientrare in Italia per fargli scontare la pena nel nostro paese. L’ipotesi è che potesse trattarsi di reati connessi all’immigrazione.

Petroni, condannato in primo grado a quattro anni per truffa aggravata, sta ora affrontando la Corte d’Appello. Proprio ieri era prevista un’udienza a Bologna. In questi mesi, nei quali Petroni era in prigione in Ungheria, non era stato possibile procedere con il processo poichè non era mai stato stabilito il videocollegamento.

Ora che il 54enne è rientrato in Italia (il ritorno dovrebbe essere avvenuto tra sabato e domenica), assistito dall’avvocato Mariasilvia Grisanti sarà chiamato in giugno a presentarsi alla prossima udienza. Nel caso non lo facesse, il processo andrebbe comunque avanti.

L’ex subagente assicurativo di Ina Assitalia (ora Generali) era stato condannato a quattro anni con rito abbreviato per una maxitruffa riguardante le polizze a lui affidate, e volatilizzate, per un totale di dieci milioni di euro. Le vittime del raggiro sono oltre un centinaio di clienti dell’Appennino che gli avevano affidato i propri risparmi.

Dopo la condanna in primo grado, l’avvocato Mariasilvia Grisanti ha impugnato il verdetto e ora il processo è in Corte d’Appello. A Petroni, accusato di truffa aggravata, appropriazione indebita ed esercizio di intermediazione assicurativa senza essere iscritto all’albo, erano stati contestati 250 episodi illeciti.

L’uomo aveva ammesso gli addebiti, il pm aveva chiesto una condanna a sei anni, l’avvocato difensore aveva invece affermato che dovesse essere considerato come una sorta di collaboratore di giustizia perchè aveva fornito i documenti e ricostruito i fatti. Il giudice lo aveva condannato a quattro anni, disponendo il risarcimento in un altro processo.