Insulti razzisti al portiere dell'Agazzanese. "L’arbitro doveva sospendere dopo le offese"

Parla Omar Daffe, il giocatore che è uscito dal campo: "Negli spogliatoi ho pianto, pensavo di mollare"

Omar Daffe, 37 anni, sopra in campo durante il match di domenica

Omar Daffe, 37 anni, sopra in campo durante il match di domenica

Reggio Emilia, 26 novembre 2019 - «Avrei preferito una pugnalata. Mi sono sentito violentato. Ho pianto negli spogliatoi e pensavo di dire addio al calcio. Ma rimetterò i guantoni, non la do vinta a chi in uno stadio non deve più entrarci…». Omar Daffe para così il razzismo. Il 37enne portiere che difende i pali dell’Agazzanese, squadra piacentina di Eccellenza, domenica ha deciso di lasciare in campo al 27’ del primo tempo nel match contro la Bagnolese, dopo gli insulti dagli spalti del Fratelli Campari di Bagnolo.  

Daffe, come sta? «Amareggiato. I miei compagni non mi hanno mai visto così. Di solito sono io a tirare su di morale loro. Stavolta hanno visto le mie debolezze».  

E gli avversari? «Giocatori, dirigenti e pure il magazziniere sono venuti a chiedermi scusa. Ma loro non c’entrano nulla, gli insulti arrivavano dagli spalti».  

Cos’ha sentito? «Mi è stato urlato quattro volte ‘negro di m…’. Si è sentito forse anche in biglietteria…».  

Qualcuno dice che sia tutto iniziato da uno scontro di gioco con un avversario. Certo non è una giustificazione. «Un dirigente della Bagnolese (Isacco Manfredini, ndr ) dice che ho provocato. Ma in 15 anni di carriera, mai mi sono permesso di parlare col pubblico. Lo scontro c’era stato diversi minuti prima, ma le offese sono continuate».  

Ha visto chi è stato? «Non si è nascosto. È sceso verso le ringhiere, indicandomi. L’hanno visto tutti».  

Farà denuncia? «Sì, ma non contro ignoti. Voglio nome e cognome. Chi lo sa me lo dica».  

Anche un anno fa durante Agazzanese-Piccardo Traversetolo subì degli ululati. Ma allora non lasciò il campo. «Ebbi fiducia per chi era in tribuna. Sbagliai. Il giorno dopo dissero che mi ero inventato tutto. Ieri (domenica, ndr ) ho deciso che non volevo più subire».  

Cosa avrebbero potuto fare i tifosi? «Tutti avrebbero dovuto fare qualcosa. L’arbitro già dopo il secondo insulto doveva interrompere la partita e non aspettare che io uscissi. La gente doveva prendere il responsabile e cacciarlo. Invece, tutti seduti».  

E il giorno dopo tutti solidali. «I messaggi solidali fanno piacere, oggi (ieri, ndr ) il mio telefono scotta. Un’unica attenuante: chi non riceve una violenza verbale così non può capire fino in fondo. Ma bisogna agire subito. Le partite vanno interrotte. La violenza gratuita non c’entra col calcio che dovrebbe essere uno spettacolo come a teatro dove nessuno grida o insulta gli attori».  

La sua famiglia era in tribuna? «Per fortuna no. La mia compagna e i miei figli vengono raramente, proprio perché spesso sentono cose inaudite in tribuna».  

E ai suoi figli cosa ha detto? «Al più grande che ha 11 anni dico sempre di non generalizzare. Ovunque ci sono ignoranti e cattivi».  

Ha pensato di smettere? «Stavolta sì. Il calcio è un gioco. È divertimento. Non vuol dire ammazzarsi o insultarsi. Se diventa guerra, non ci sto più. Ma tornerò ad allenarmi, non la do vinta a nessuno».  

Ora probabilmente sarà squalificato essendo stato espulso per aver lasciato il campo. «Se mi dessero dieci giornate, lo r ifarei comunque. Bisogna dare un segnale».  

In Serie A l’anno scorso insultarono Koulibaly, pochi mesi fa Lukaku e Balotelli. «Il razzismo esula dal calcio e si sta radicando nella società. Io sono nato in Senegal, ma da 17 anni sono in Italia dove sono nati i miei figli. Ci sentiamo italiani. Siamo persone, il colore che c’entra? Dobbiamo eliminare questa violenza. La libertà di pensare non significa essere liberi di offendere. Stiamo perdendo i valori e tutto deriva dal clima politico di odio che c’è. Al mio posto poteva esserci un napoletano definito ‘terrone di m…’, è uguale. Lo sfottò ci sta anche, ma c’è chi lo fa per ferire».  

A proposito di politica, lei per la legge ‘Bossi-Fini’ non arrivò tra i professionisti. «Fa ancora male: firmai tre anni di contratto col Modena, ma c’era posto solo per un extracomunitario e saltò tutto».  

Si allenò anche con la Reggiana. «Vivo a Parma, ma a Reggio c’è gente fantastica. Così come a Bagnolo che non mi permetterei mai di dire che è un paese razzista. Poi ho giocato a San Polo, ho vinto il ‘Montagna’ a Vetto. Ho amici reggiani ed ex compagni che sono venuti con me in Senegal tramite la mia associazione benefica».  

Koulibaly, difensore del Napoli, in un’intervista si è rivolto ai razzisti così: «venite a conoscermi». Lei incontrerebbe chi l’ha insultata? «A mente fredda sì, ma non ora. I razzisti sono pochi, ma vanno fermati, sennò diventa un alibi per tutti. E ci vuole il Daspo. A vita. Perché con lo sport non c’entrano».