Rimini, Arcangeli a processo. "Sei milioni di euro non denunciati"

Evasione fiscale: un altro processo per l’ex patron della Valleverde

Armando Arcangeli, l’ex patron della Valleverde alla sbarra per bancarotta ed evasione

Armando Arcangeli, l’ex patron della Valleverde alla sbarra per bancarotta ed evasione

Rimini, 4 dicembre 2018 - Una vera valanga, quella che ha travolto Armando Arcangeli, ex patron della Valleverde. Oltre al processo che lo vede alla sbarra per il crac dell’azienda, lunedì prossimo se ne aprirà un altro dove è imputato invece di evasione. Secondo l’accusa, avrebbe ‘dimenticato’ di omettere nelle denunce dei redditi dal 2008 al 2011 (anni in cui era il legale rappresentante della Valleverde), sei milioni e 150mila euro, pari a un’evasione fiscale di due milioni e 650mila. La sua villa di Riccione invece, sequestrata all’epoca dagli inquirenti ma di fatto pignorata già dai creditori (banche soprattutto) è finita all’asta un paio di mesi fa.

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Il tracollo dell’impero si era consumato il 3 dicembre del 2015, quando la Guardia di finanza era andata ad arrestare Armando Arcangeli, il re della Valleverde. L’epilogo disastroso di una leggenda e di un mago della comunicazione. Le accuse erano di bancarotta fraudolenta per distrazione e vari reati tributari. Un intero paese era rimasto incredulo di fronte a quelle manette, scattate ai polsi di quello che tutti consideravano un gigante dell’imprenditoria, il quale era riuscito a infilare le sue scarpe anche a Pelè e Kevin Costner. Secondo la ricostruzione fatta dalle Fiamme Gialle, coordinate dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi, c’erano pochi dubbi sul fatto che il patron aveva fatto le valigie portandosi via i suoi soldi, quando la barca stava già affondando. A darle il colpo di grazia erano stati poi gli imprenditori bresciani che a detta degli inquirenti, miravano unicamente al marchio che valeva ancora un bel po’ di soldi.

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La loro specialità era infatti quella di soccorrere aziende in crisi fingendone il rilancio, per poi farne invece razzia. Un piano di cui, avevano concluso, probabilmente Arcangeli era all’oscuro. Oltre a lui, ai domiciliari era finito anche il suo braccio destro e il gruppo dei bresciani. Il crac, di parecchi milioni di euro, aveva fatto scattare anche i sequestri di case e terreni per un totale di nove milioni di euro.

MA una volta messa in moto, l’inchiesta si è allargata a macchia d’olio, e Arcangeli si è ritrovato con un altro procedimento a suo carico per i milioni frodati al fisco quando guidava ancora l’azienda. L’imprenditore, difeso dall’avvocato Piergiorgio Tiraferri, sostiene di non ricordare quello che avvenne in quel periodo, tante erano le cose che stavano avvenendo. Lunedì prossimo, il processo si aprirà con la deposizione degli ispettori dell’Agenzia delle Entrate.