Covid Rimini, Nardi: "L'età media dei ricoverati è di 60 anni"

Il primario di Rianimazione non nasconde l’apprensione per i contagi: "Il virus non ha perso la sua forza, ma noi siamo più preparati a combatterlo"

Il dottor Giuseppe Nardi, davanti alla rianimazione ospedale Infermi di Rimini

Il dottor Giuseppe Nardi, davanti alla rianimazione ospedale Infermi di Rimini

Rimini, 21 novembre 2020 - Il paziente più giovane, tra quelli attualmente ricoverati, ha una quarantina d’anni. Durante la prima ondata di contagi nel reparto di terapia intensiva sono arrivati anche giovani di poco più di 30 anni, e un bambino di 8 (che aveva altre patologie). Ma questo "non significa che la seconda ondata sia meno aggressiva. Il virus non ha perso la sua forza, ma noi siamo più preparati a combatterlo. Lo dimostra il fatto che, nonostante i parecchi malati Covid ricoverati in terapia intensiva e sub-intensiva, riusciamo a gestire bene tutte le altre emergenze", spiega il primario di rianimazione dell’ospedale Infermi, Giuseppe Nardi.

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Che aggiunge: "Il punto di forza della nostra organizzazione è la straordinaria collaborazione tra i diversi specialisti coinvolti nella gestione dei pazienti Covid: pneumologi, infettivologi, internisti, medici d’urgenza, radiologi e anestesisti rianimatori. Condividiamo le scelte terapeutiche e le strategie incontrandoci ogni giorno. Questo si sta rivelando importantissimo per garantire a tutti la massima qualità di cura". Quanti sono attualmente i pazienti nei reparti di terapia intensiva e sub-intensiva? "Ne abbiamo 23 in terapia intensiva e 18 in sub-intensiva. Ma ci sono ancora alcuni posti liberi. Grazie all’apertura dei nuovi reparti a giugno, lo scenario è completamente cambiato rispetto alla primavera. A marzo e aprile arrivavano di continuo nuovi pazienti in terapia intensiva, lavoravamo in emergenza. Ora siamo più pronti, più attrezzati".

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In primavera l’età media dei ricoverati in terapia intensiva era piuttosto alta, ora invece? "Se in primavera la maggior parte dei pazienti aveva tra i 65 e i 70, all’inizio della seconda ondata ha colpito persone decisamente più giovani, tra i 40 e i 50. Nelle ultime settimane l’età media è risalita, ora siamo intorno ai 60 anni". La permanenza media nel reparto si è ridotta? "E’ presto per dirlo, perché i ricoverati sono tornati ad aumentare da settembre. Durante la prima ondata molti pazienti sono rimasti in terapia intensiva per 2 o 3 mesi. Attualmente ne abbiamo diversi ricoverati da ottobre, altri si sono ristabiliti dopo 15 giorni. Ma ripeto: è presto per valutare se i tempi di guarigione sono diminuiti". E’ cambiato il tasso di mortalità tra i ricoverati? "Presto per dire anche questo. Per fortuna i decessi per Covid, in generale, sono calati. In primavera il tasso di mortalità era del 35 per cento tra i malati intubati e ventilati nel nostro reparto di terapia intensiva. E’ risultato, e lo dicono i vari studi sulla prima ondata della pandemia, uno dei tassi più bassi". Lei ha sempre ribadito, anche quando la pandemia sembrava sotto controllo, che non bisognava abbassare la guardia. Come vede la situazione oggi? "Dobbiamo rispettare le regole, dipende da noi fino a quando non ci sarà il vaccino. Quindi: manteniamo le distanze, indossiamo la mascherina, igienizziamoci spesso le mani, riduciamo i nostri contatti. Dobbiamo farlo per la salute collettiva, e anche per i nostri ospedali. Per ora riusciamo a far fronte alla situazione e a gestire meglio anche i pazienti no-Covid, ma il personale è rimasto lo stesso e stiamo facendo grossi sacrifici".