
Giuliano
Bonizzato
Secondo quanto recentemente annunciato da Luigi Pasquini, autore della biografia del nipote Maurizio Zanfanti detto Zanza, sarebbe imminente un documentario su questo mitico play-boy
degli anni ‘80 (300 conquiste da giugno a settembre) girato a Rimini dalla regista francese di
origine italiana Anne Flore Trichilo. Sarà in tal caso indispensabile che il protagonista venga
inquadrato nel suo contesto storico, allorché dall’incontro romantico sulla spiaggia tra repressi indigeni e disinibite scandinave (seguito a volte anche dai fiori d’arancio) si passò al sesso fast-food da discoteca e al bancomat dell’usa e getta. Per capire meglio questo passaggio e gli equivoci dovuti alla sua omessa valutazione, è utile confrontare le due famose pagine che lanciarono il mito del Nostro, apparse sulla tedesca Bild. In un servizio di Aftonbladet,
quotidiano di Stoccolma, si leggeva testualmente "Rimini non è più la terra dei vitelloni. Sono molte le svedesi che passano le vacanze sulla riviera adriatica solo per portarsi a casa un romanticissimo ricordo. Tuttavia, la maggior parte oggi se ne torna in albergo delusa e sola". Negli
anni ruggenti di Zanza, buttadentro della discoteca Blow-Up, la liberazione sessuale aveva infatti pienamente raggiunto gli obiettivi sessantottini, con la conseguenza che i predatori estivi degli anni 60-70, con testosterone a mille a causa delle privazioni invernali, avevano lasciato il posto a giovani appagati in ogni stagione dell’anno da conterranee cresciute in altezza disinvoltura e pillola. Da qui la delusione delle svedesi che, negli anni Ottanta, non trovavano più l’emozione del
corteggiamento, inesistente ora anche da noi, trasformati in ‘nordici’ dall’evoluzione del costume. Il mito di Zanza, divenuto obiettivo erotico a livello europeo, nacque proprio dalla sua capacità di conferire sentimento anche all’instant-sex dei suoi record. Raggiunti, oltretutto, negli intervalli di una intensa serata lavorativa. Una condanna, forse, anche per lui.