"Così il virus non è entrato a San Patrignano"

La vita nella comunità di recupero: "Al momento non abbiamo contagiati. Regole rigide prima dei decreti del governo"

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Rimini, 14 aprile 2020 - «Al momento non abbiamo contagiati. Ma non abbassiamo la guardia". Antonio Boschini, medico specializzato in infettivologia, è il responsabile sanitario di San Patrignano. Un uomo di scienza. Ma è anche scaramantico. La comunità di recupero per tossicodipendenti più grande d’Europa in queste settimane non ha registrato nessun caso di positività al coronavirus. "Siamo stati bravi, ma anche fortunati" racconta Boschini. Come avete fatto a tenere il virus fuori dai cancelli? "Abbiamo giocato d’anticipo. La comunità è chiusa da prima del decreto dell’8 marzo. La pizzeria Spaccio è stata aperta fino alla sera del 7. Abbiamo preso decisioni drastiche e difficili prima che venissero imposte dalle istituzioni". Che tipo di contromisure? "Da quando è stato scoperto il paziente di Codogno, abbiamo bloccato le visite dei parenti degli ospiti, fermato i nuovi ingressi in comunità e bloccato tutte le verifiche che i ragazzi fanno a casa. Abbiamo cercato di tagliare fuori tutte le fonti di possibile contagio. Tutte le persone che devono entrare qui per lavoro utilizzano le mascherine chirurgiche. Gli educatori che vivono qui vanno a fare la spesa solo una volta alla settimana". Casi di isolamento? "Qualche ragazzo tornato dalla Lombardia prima che si scatenassero i contagi, è stato tenuto separato dagli altri. Li abbiamo fatti abitare da soli per assicurarci che non avessere alcun sintono riconducibile al Covid-19". Chi ha deciso? "Abbiamo istituito un’unità di crisi e poi ci confrontiamo con gli ospiti per aggiornarli". Come è cambiata la vita? "A San Patrignano vivono un migliaio di ragazzi e duecento operatori. Facciamo due turni nella sala da pranzo. Lo stesso vale anche per la sala della televisione. Ogni persona è distanziata di un metro e mezzo dall’altra e poi ogni gruppo di ragazzi è separato dagli altri gruppi. All’interno della comunità ci sono 30 piccole comunità. Le riunioni si fanno via telefono o videoconferenza". E le attività tradizionali? "La sezione ’food’ è l’unica che è rimasta aperta: le vigne, la raccolta del latte e la produzione alimentare. Tutto il resto è sospeso". Come stanno reagendo i ragazzi a questa emergenza? "Il clima è buono, soprattutto adesso rispetto a febbraio e marzo. All’inizio c’era molta paura, poi è piano piano scemata. La preoccupazione adesso è più per parenti e amici. I ragazzi adesso sono in attesa di poter riprendere la loro vita e le loro attività. Ma questo aspetto non è del tutto negativo". Cosa vuole dire? "Che per i nostri ospiti rimanere inoperosi può avere degli aspetti positivi nel percorso terapeutico. Il fatto di non avere la giornata piena di attività, consente di riflettere e pensare alla loro condizione". Avete un piano nel caso si verifichi un contagio? "Certo. Abbiamo attrezzato un’area per eventuali isolamenti e abbiamo stretti rapporti con il reparto di malattie infettive dell’ospedale di Rimini per necessità di ricoveri. Ma noi speriamo di non dover ricorrere a questo piano. Poi dovremo gestire la fase 2". Cosa intende? "Dobbiamo iniziare a pensare a come ripartire. Quando i divieti si allenteranno, si aprirà per noi una fase ancora più delicata".