Brexit, a rischio esportazioni per 120 milioni

Doccia gelata sulle imprese riminesi che fanno affari con la Gran Bretagna

Libeskind con Maurizio Focchi

Libeskind con Maurizio Focchi

Rimini, 17 gennaio 2019 - Ben 119 milioni l’anno di export dal Riminese verso la Gran Bretagna, a fronte di 25 milioni di import. Dati importanti quelli forniti da Confindustria Romagna, aggiornati al 31 dicembre 2018, con trend in crescita sull’anno precedente, quando l’export era di 90 milioni e l’import di 22. Un ‘tesoretto’ che rischia di finire, almeno in parte, in fumo dopo lo storico ko inflitto al premier britannico Theresa May che ha bocciato la sua proposta di Brexit.

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«Di fronte al ‘No-Deal’, l’uscita senza patti, si prospetta uno scenario preoccupante per le tante aziende riminesi che lavorano con il Regno Unito – osserva il presidente di Confindustria Romagna, Paolo Maggioli –. Gli scenari sono diversi: l’ipotesi di un referendum bis sulla Brexit, che per noi sarebbe auspicabile; la presentazione di una sorta di ‘piano B’ da parte degli inglesi; il tentativo di rinviare la Brexit prevista per il 29 marzo. Un’incertezza totale che preoccupa le nostre aziende. Così come i tanti riminesi che lavorano a Londra e nel Regno Unito. Mi auguro che un grande Paese come la Gran Bretagna sappia trovare la strada migliore per evitare una debalcle per sé e per i suoi partner commerciali».

Tra le tante aziende riminesi che hanno importanti relazioni commerciali olremanica c’è il Celli Group di San Giovanni (articolo in basso) e soprattutto il Gruppo Focchi di Rimini. «Si tratta del nostro primo mercato in assoluto – attacca il presidente Maurizio Focchi –, dal quale ricaviamo circa il 70 per cento del fatturato. Quello italiano ormai è un mercato piuttosto scarso». «Finora – prosegue Focchi – non ci sono state ripercussioni, lo sviluppo immobiliare di Londra non è diminuito. Noi abbiamo attualmente una decina di cantieri, dove produciamo gli ‘involucri’ degli edifici, a Londra e nel solo».

Nella capitale il Gruppo Focchi opera sia nella City che alla Battersea Power Station. La Boiler House è una struttura imponente e rappresenta il più grande edificio in mattoni d’Europa. Il Gruppo è anche impegnato a Manchester e a Salford. «Riguardo alla Brexit – prosegue Focchi – c’è una apprensione generale nel Regno Unito. Ad esempio alcuni nostri clienti ci hanno chiesto di portare il materiale necessario nei cantieri entro il 29 marzo (data ufficiale al momento per l’entrata in vigore della Brexit, ndr), nel timore che dopo quella data si blocchi la Manica. Tengono il materiale nei loro magazzini. Noi ci stiamo muovendo in questa direzione. Il sentimento diffuso è di totale confusione e timore tra gli operatori. Tra le varie ipotesi in campo dopo il ‘no’ di martedì sera della Camera dei Comuni, lo scenario del ‘No Deal’, l’uscita senza regole, è quello che fa più paura. E anche le richieste che ci fanno di portare i materiali riflettono quei timori. Noi abbiamo preoccupazioni, ma non ‘totali’. Senza stranieri, l’immobiliare non si muove. A livello tecnologico i nostri concorrenti sono tedeschi, svizzeri, non ce ne sono di inglesi. Il timore è semmai che rallenti lo sviluppo immobiliare: meno gente che compra casa a Londra; meno banche che aprono». «Le aziende consolidate da anni sul Regno Unito hanno più forza – chiosano da Confindustria – difficile invece che ora ci vadano start up o nuove imprese».