"Camion della morte, tutta la verità"

Alluvione in Polesine, settanta anni dopo. Una mostra in Provincia cerca di fare luce sulla pagina più tragica, furono 84 le vittime

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Lo hanno chiamato drammaticamente il ‘camion della morte’ ed è diventato il simbolo della grande alluvione che colpì il Polesine nel 1951 seminando devastazione e dolore. Il 15 novembre del 1951 morirono 84 persone travolte dalle acque mentre tentavano di mettersi al sicuro in quel camion proveniente da Fiesso e Pincara, a bordo erano salite decine di persone, donne e bambini. In località Malcantone, nel Comune di Occhiobello, ci fu la terza rotta, la più devastante, quella che permise al Grande Fiume di violare le campagne e le genti che le abitavano. La tragedia si consumò dopo l’incrocio di Capo Rumiatti, la cui strada che porta al Canalbianco era impraticabile. Dopo l’incrocio tra l’attuale via Mazzini e il rettilineo che porta alla frazione Chiesa di Frassinelle Polesine il camion si fermò: in mezzo alla nebbia fittissima, col freddo insopportabile, al buio della notte, erano quasi le due del mattino. Venne travolto dall’acqua della rotta di Paviole che, fermata nella sua corsa a valle dall’argine della Fossa di Polesella, rifluiva verso l’Alto Polesine. Poche le persone che riuscirono a salvarsi, quasi tutti uomini. Sono passati 70 anni da quella tragedia. Alla guida di quel camion c’era Giacomo Conti. Una figura che viene riportata alla luce nella mostra allestita in Provincia, promossa da Antonella e Maria Grazia Bertoli. Erano presenti, all’inaugurazione, la consigliera provinciale Ilaria Paparella e il sindaco di Villadose, Pierpaolo Barison. Una nostra in memoria di Giacomo Conti. "Perché – spiega Antonella Bertoli, presidente della Commissione pari opportunità della Provincia – nella tragedia che fu l’alluvione del 1951 ci sono storie che sono state dimenticate o negate o travisate. I morti accertati furono 91 tra cui 84 vittime intrappolate nel ‘camion della morte’, inabissatosi nelle acque limacciose di Frassinelle Polesine. Ed è qui che cominciano l’inganno, la confusione o per meglio dire, è qui che i ricordi e le ricostruzioni si intrecciano e si confondono gli uni alle altre, perché i morti non possono parlare e i sopravvissuti hanno raccontato versioni diverse di tante ‘verità’ a seconda del momento che stavano attraversando". Da qui le motivazioni della mostra."Noi – aggiunge Bertoli – non vogliamo negare la paura e la disperazione che provarono i sopravvissuti in quei momenti terribili. Ma è nostro compito ristabilire la verità anche storica di ciò che successe allora, soprattutto per quanto riguarda la vicenda del cosiddetto ‘camion della morte’". Un obiettivo che chi ha curato la mostra ha tentato di ottenere ritrovando, leggendo e comparando le scritture e testimonianze. "È stato difficile – conclude Bertoli – ricostruire la storia di quel camion così come è stato ancora più difficile ridare dignità a Giacomo Conti, che guidò quel camion anche se in molti se lo sono dimenticato e gli hanno storpiato il nome in ‘Conte’. Quella di Giacomo è una figura dimenticata dal tempo e dagli uomini, anche dagli stessi sopravvissuti che erano con lui su quel maledetto camion. Ora riteniamo necessario e doveroso dire la verità". Giuliano Ramazzina