Rovigo, si aprono le porte dell'ex manicomio

Caschetti, mascherine, macchine fotografiche e tanta curiosità: l’ex ospedale psichiatrico di Granzette ha aperto le porte alla cittadinanza

Caschetto e macchina fotografica alla scoperta dell’ex manicomio

Caschetto e macchina fotografica alla scoperta dell’ex manicomio

Rovigo, 15 aprile 2018 - Caschetti, mascherine, macchine fotografiche e tanta curiosità. Ieri l’ex ospedale psichiatrico di Granzette ha aperto le porte alla cittadinanza. E in tanti hanno potuto esplorare i padiglioni e gli spazi che sono stati messi in condizioni di sicurezza dall’associazione ‘I luoghi dell’abbandono’.

«Non è stata un’impresa facile. Abbiamo fatto varie richieste all’Asl 5 e ci siamo riusciti. – spiega Devis Vezzaro, tra gli ideatori dell’iniziativa –. Gli ospedali psichiatrici sono strutture chiuse e non si sa nemmeno bene cosa ci sia dentro, forte la richiesta da parte della cittadinanza di poter vedere con i propri occhi quest’area. Siamo stati avvertiti delle condizioni in cui versavano i padiglioni e abbiamo pulito per 4 giorni in 7 o 8 persone. Tanti i vetri rotti, che sono stati tolti per rendere sicura la vista anche ai più piccoli».

Tante le misure di sicurezza adottate. «Abbiamo usato i caschetti – riprende – per evitare i rischi legati alla caduta di materiale dalle pareti o dai soffitti. C’era anche la mascherina per chi era allergico alla polvere».

Nella giornata di apertura ci sono state poco più di 200 persone. L’associazione ha già svolto attività anche nell’ex manicomio di Volterra, dove ci sono stati circa 5400 visitatori. «Le persone – conclude – sono rimaste sorprese. Speriamo nella continuità di questa collaborazione. Sarebbe bello tenere aperto il parco gratis almeno un paio di volte al mese. Vorremmo anche creare eventi come spettacoli a tema o magari delle marce. Bisogna dare nuova vita alla zona nel rispetto del luogo. Dobbiamo voltare pagina e pensare al posto come a qualcosa di diverso».

Tra i componenti dell’associazione c’è anche Daniela Campaci, il marito lavorava proprio nel manicomio. «Lui ha iniziato a lavorare qui negli anni ‘70 – racconta – quando ancora non erano luoghi tranquilli, anche se dopo con l’avvento della medicina tanti problemi si sono evitati. Entravo la sera in bici per venire da mio marito, ma non ho mai avuto paura. Avevo voglia di tornare, ci sono già venuta un po’ di tempo fa e sono qui ora con l’associazione. E’ un peccato che rimanga in questo stato di abbandono. Ricordo ancora le feste degli aquiloni, durante queste manifestazioni noi che venivamo da fuori E incontravamo chi stava qui. E spesso accadeva che i ricoverati ci chiedessero se le persone che erano arrivate con gli aquiloni fossero matti».