Cupramontana, bimbo di 5 anni morto. "Allegria contagiosa"

Il ricordo del piccolo Hamid di una vicina di casa. "Una famiglia numerosa. Gente poco integrata, ma mai problemi"

La caserma dei carabinieri dove il padre è stato interrogato (foto Binci)

La caserma dei carabinieri dove il padre è stato interrogato (foto Binci)

Cupramontana (Ancona), 6 gennaio 2018 - La strada in forte pendenza davanti al civico 17 di via Bonanni diventa quasi una sorta di meta di silente pellegrinaggio, tra telecamere delle tv nazionali e gruppo di curiosi che a turno si radunano nei pressi del cortile. Le transenne della sera prima non ci sono già più, l’accesso alla corte esterna è libero, ma ai campanelli, sin dal primo mattino, non risponde nessuno. «Eppure lì dentro vivono in tanti», rivela una vicina di casa dinanzi ad un drappello di paesani.

La famiglia Imeri risiede al pianterreno in un grande appartamento. Ai piani superiori, invece, alloggiano altre famiglie sempre di etnia straniera. «Abitano qui da poco, prima erano a San Paolo di Jesi», racconta un uomo. «Gente schiva, molto riservata. Al massimo un buongiorno o buonasera, ma nulla più almeno con me e con altri cuprensi». Vita sociale poca, insomma, per una maxi famiglia che all’Italia chiedeva un futuro migliore.

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Una ricerca affannosa e complessa, resa ancora più difficile dalla recente perdita del lavoro del presunto omicida e del padre che alloggia nel medesimo locale. «Li conosco poco, troppo poco per poter giudicare», afferma un’anziana residente nella via limitrofa. «So solo che vengono seguiti dagli assistenti sociali e che quei bambini sono tanto graziosi. La loro allegria è contagiosa, quando li vedo giocare sulla strada o sul pianerottolo di casa esprimono sempre una grande gioia».

Uno dei bimbi era il piccolo Hamid, un angelo volato in cielo troppo presto, spegnendo per sempre quel sorriso dolcissimo che lo accompagnava. «Siamo tutti sgomenti», le prime parole della signora Torelli il cui cortile di casa è praticamente di fronte all’abitazione della famiglia macedone. «Con loro il rapporto è sempre stato molto superficiale, al massimo di buon vicinato. Eppure ho ancora davanti agli occhi le scene di tutti i giorni, quelle in cui il bimbo di 5 anni veniva accompagnato allo scuolabus o prelevato dallo stesso una volta dalla madre, un’altra dal padre. Immagini di una famiglia che sembrava coesa, come tante altre».

Invece, proprio quel nucleo familiare piange una tragedia enorme, domandandosi al pari della comunità cuprense intera cosa abbia spinto il padre - se davvero fosse confermata la sua colpevolezza - ad un gesto imperdonabile.