«Si uccise per il dolore dopo l’incidente»

Renzo Polelli si tolse la vita dopo mesi di problemi fisici. Il legale: «Morte riconducibile al sinistro». Esposto contro le assicurazioni

La moglie di Renzo Polelli, Lionella Vezzelli, con l’avvocato Enrico Zambardi

La moglie di Renzo Polelli, Lionella Vezzelli, con l’avvocato Enrico Zambardi

Ferrara, 31 luglio 2014 - LO DICEVA a tutti, Renzo Polelli: «Sto male, non ce la faccio più, mi uccido». Ma nessuno, nemmeno la sua famiglia, credeva fino in fondo a quelle sue tragiche parole. Fino al 29 maggio quando il 62enne copparese sparì lasciando un biglietto e si gettò in un canale. Ora la moglie, con l’aiuto dell’avvocato Enrico Zambardi, vuole giustizia ed è pronta a chiamare in causa le assicurazioni per il risarcimento danni.

«L’evento morte — spiega il legale —, seppur di natura volontaria, è riconducibile al sinistro in quanto gli ha provocato, da quel momento, dolore fisico e prostrazione psicologica che l’hanno indotto a farla finita. Le compagnie assicurative si sono dette pronte a risarcire il danno dell’incidente in sè, ma non il danno morte come conseguenza di quel frontale».

E’ il 6 dicembre 2013, Renzo Polelli si schianta con una seconda auto tra Ro e Guarda per poi finire in un canale. Un incidente all’apparenza senza grosse conseguenze: a Cona rimarrà ricoverato 12 giorni per sette costole rotte. Ma da quel momento i dolori non lo abbandoneranno più. «Ad aprile — racconta commossa la moglie, Lionella Vezzelli — stava malissimo, non riusciva a sedersi, a stare in piedi, a camminare. Andava avanti con antidolorifici fortissimi».

Per quattro volte finirà al pronto soccorso, tre al Sant’Anna, una a Rovigo: flebo continue, poi le dimissioni. «L’ultima volta che andammo a Cona — riprende la donna — fu il 27 maggio perché i farmaci non lenivano il suo dolore». Il giorno seguente i medici gli preannunciano un urgente intervento chirurgico per quattro vertebre schiacciate e un problema alla spina dorsale. «Il 29 il Sant’Anna lo convocò ma quella mattina mio marito scomparve per sempre».

Polelli chiede una bici alla vicina di casa: «A tra poco, esco a fare un giro», le dirà. «Da tempo — continua la moglie — diceva a tutti, amici, parenti, a me e a nostra figlia che voleva farla finita. Che quel dolore fisico lo stava ammazzando. Noi non gli abbiamo mai dato peso più di tanto». Quel giorno, al ritorno dal lavoro, la donna ritrova un biglietto con scritto: Vi voglio bene, un bacio. Renzo. La bicicletta verrà trovata su un ponte di Polesella, nel cestino i suoi occhiali da vista. Una settimana dopo, il 5 giugno, in un canale viene scoperto il suo corpo. «Non aveva mai avuto problemi — dice in lacrime la compagna di una vita —, è andato fuori di testa dopo l’incidente. Si chiuse in casa, non riusciva più a fare nulla e continuava a dire: potevo morire quel giorno». In Italia, sottolinea l’avvocato Zambardi, «ci sono due precedenti analoghi in cui la Cassazione riconosce il nesso di causalità tra l’evento morte e lo schianto. Faremo partire la causa».