Licenziamenti alla Sacci, i sindacati: "Il territorio rischia il collasso"

Castelraimondo, sono 83 i lavoratori che hanno ricevuto la notizia del licenziamento. Il Gruppo ha centinai di milioni di debiti. Salvi: "E' in atto un vero ricatto"

 La protesta dei lavoratori durante la tappa della Tirreno-Adriatico (foto Calavita)

La protesta dei lavoratori durante la tappa della Tirreno-Adriatico (foto Calavita)

Macerata, 16 marzo 2015 - «CI SONO famiglie con il mutuo da pagare e i figli da mandare a scuola che si ritroveranno da un giorno all’altro in mezzo alla strada. E’ un dramma da evitare». Sono le parole di Sauro Bravi, Rsu della Fillea–Cgil nella Sacci di Castelraimondo. Gli 83 dipendenti del cementificio venerdì hanno ricevuto la notizia del licenziamento collettivo per cessazione di attività.

Un duro colpo per tutto l’entroterra, e dopo la protesta messa in scena durante la tappa di sabato della Tirreno-Adriatico, mercoledì è previsto uno sciopero nello stabilimento. L’obiettivo è quello di impendire che l’azienda porti fino in fondo la decisione ufficializzata venerdì. Ci sono 75 giorni di tempo per trovare una soluzione l’azienda. «L’azienda però – spiega Bravi – non sembra disposta a tornare indietro. Anche se ha un comportamento contraddittorio, da una parte infatti annuncia la cessazione di attività, dall’altra mercoledì andrà in Regione per una conferenza dei servizi sul rinnovo dell’autorizzazione (che non riguarda la possibilità di bruciare rifiuti, quell’autorizzazione tanto contestata è stata annullata dal Tar e per ora non rientra nel procedimento, ndr).

Quindi vogliamo capire dove vuole andare a parare: forse il licenziamento di tutti i dipendenti serve per presentare un piano di ristrutturazione del debito alle banche. Vogliamo vederci chiaro». Il gruppo Sacci, infatti, che conta 5 stabilimenti in tutta Italia più un centro vendite avrebbe un fatturato da 100 milioni di euro, a fronte di un debito di 400 milioni. In tutto quindi saranno messi in mobilità 130 lavoratori, di cui 83 solo a Castelraimondo.

L’azienda parla di calo di vendite e della difficoltà di programmare investimenti a causa dei ricorsi al Tar. «Siamo consapevoli – continua Bravi – che c’è una situazione economica sofferente, ma dipende soprattutto da scelte sciagurate che sono state fatte in passato. Ma noi non vogliamo essere l’agnello sacrificale, anche perché non rappresentiamo un costo e l’anno scorso lo stabilimento ha prodotto anche utili. La soluzione ci sarebbe: fino ad agosto c’è la possibilità della cassa integrazione in deroga e poi di quella straordinaria, ecco perché da qui a un anno e mezzo non rappresenteremmo un costo per l’azienda.

La nostra non è una zona a diffusione industriale e perdendo tutti questi posti di lavoro, si rischierebbe veramente l’abbandono del territorio perchè questa è l’ultima di una grande crisi. Confidiamo quindi nell’aiuto delle istituzioni». Sulla vicenda interviene anche Daniele Salvi. «Nei confronti dei lavoratori dello stabilimento – denuncia l’esponente del Pd – si sta realizzando un vero e proprio ricatto, che va rispedito al mittente. Occorre agire su due piani: il primo, chiarire con il supporto delle stesse istituzioni e l’azione delle forze sindacali le reali intenzioni della proprietà, perché se è in atto una vendita, i lavoratori e lo stabilimento di Castelraimondo non possono non rientrare nel pacchetto. Il secondo piano, riguarda i lavoratori, oggi in contratto di solidarietà, ai quali va garantita una copertura lunga per affrontare una vicenda i cui tempi e risvolti non saranno di certo immediati».