Affonda anche il processo Quasi tutti i reati prescritti

Otto gli imputati per l’alluvione del 2014, il procedimento rinviato all’Aquila per incompatibilità di due giudici e un mare di eccezioni. Resta inondazione colposa

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di Marina Verdenelli

Il processo per l’alluvione di Senigallia di otto anni fa, quella del 3 maggio del 2014, quando l’esondazione del Misa fece tre vittime, nessuna delle quali investita comunque dall’acqua a differenza di questa volta, stenta ancora a decollare. Di fatto il dibattimento si aprirà il prossimo 1 dicembre, al tribunale de L’Aquila, anche se la prima udienza era stata fissata al 9 giugno scorso.

Non sarà il tribunale di Ancona ad occuparsene perché il procedimento, sul quale si sono ormai prescritti diversi reati ed è rimasto in piedi solo quello di inondazione colposa, dopo un tira e molla giudiziario ha dovuto fare i conti anche con la incompatibilità territoriale. Cavilli e rinvii duri da digerire a chi ha perso i propri cari e a chi ha perso attività e beni personali, distrutti anche allora da acqua e fango per l’esondazione del fiume Misa. Il fascicolo ad Ancona era arrivato a dibattimento ad ottobre del 2020, con oltre 400 parti civile formalizzate, dopo un rinvio a giudizio, per otto imputati, compresi i due ex sindaci della città Maurizio Mangialardi e Luana Angeloni, deciso l’11 dicembre del 2019 dalla gup Francesca De Palma. Appena iniziato il procedimento si era però dovuto subito fermare. Nel collegio penale designato a seguire il processo c’era un giudice che aveva chiesto l’astensione perché era tra le parti offese che avevano subito danni dall’alluvione.

Ci sono voluti dieci mesi per accorgersene, l’incompatibilità del giudice era stata fatta presente infatti solo a settembre 2020. Il presidente del tribunale aveva dovuto nominare un nuovo collegio che ha fatto slittare l’avvio del processo ancora. Il 10 dicembre del 2020, con i nuovi giudici, sembrava tutto risolto ma una eccezione, questa volta sulla incompatibilità del distretto, presentata congiuntamente dagli avvocati degli otto imputati, portò la giudice Edi Ragaglia a dichiarare il tribunale dorico incompatibile a fare il processo.

I legali si erano appellati all’articolo 11 del codice di procedura penale che prevede di spostare la competenza di un processo in un tribunale diverso da quello dove esercita un magistrato rimasto danneggiato dai fatti oggetto del processo (una eccezione di competenza funzionale, non perché faceva parte di quel collegio visto che aveva lei stessa rinunciato, ma perché giudice nello stesso distretto). Il giudice era stato parzialmente risarcito dagli indennizzi stanziati dallo Stato e non era parte civile nel processo ma per i legali era necessario comunque uno spostamento del procedimento per conflitto di interessi. Finita la camera di consiglio, durata quattro ore, la giudice Ragaglia aveva pronunciato l’incompatibilità, per garantire la terzietà e l’imparzialità, eliminando presso l’opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità.

Tutto era passato a L’Aquila, foro speciale per le Marche, con gli imputati tornati davanti ad un gup, questa volta abruzzese. Il giudice per l’udienza preliminare aveva dichiarato il non luogo a procedere per i reati di omicidio colposo, lesioni, omissione di atti d’ufficio e falso, ormai prescritti. Gli imputati, oltre ai due ex sindaci di Senigallia ci sono a giudizio anche il comandante dei vigili urbani Flavio Brunaccioni, Gianni Roccato dell’ufficio tecnico del Comune, l’ex dirigente della Provincia Massimo Sbriscia, il presidente dell’Autorità di bacino Mario Smargiasso, l’ingegnere Alessandro Mancinelli, consulente del Comune e Libero Principi, funzionario Lavori Pubblici della Regione, sono a processo solo per inondazione colposa.

Ora si spera che finalmente possa decollare quel che ne resta del procedimento iniziale. Ma in otto anni di fatto non è stato deciso nulla. Perfettamente in linea con le opere di contenimento che Senigallia attende da troppo tempo.