Cantieri navali ad Ancona: scoperta maxi evasione e 153 lavoratori irregolari

Le fiamme gialle hanno portato alla luce un'organizzazione criminale che aveva come fulcro il porto. Flase fatture per 131 milioni di euro. Trenta le persone denunciate

In azione la guardia di finanza

In azione la guardia di finanza

Ancona, 27 febbraio 2021 – Cantieristica navale, scoperta dai finanzieri maxi evasione fiscale: ben 153 lavoratori irregolari e false fatture per 131 milioni di euro. I finanzieri della Compagnia di Ancona, all’esito di una lunga e complessa attività di indagine, hanno scoperto un’organizzazione criminale dedita all’illecito arricchimento derivante dall’evasione fiscale e contributiva. Centro degli interessi economici era il settore della cantieristica navale nel porto di Ancona, attraverso una fitta rete di imprese dislocate tra Marche, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana, molte delle quali vere e proprie “cartiere”, con ramificazioni sull’intero territorio nazionale.

Il bilancio della vasta operazione è di trenta persone denunciate per frode fiscale, riciclaggio e auto-riciclaggio. Nei confronti di cinque dei quattordici imprenditori, che hanno operato nel territorio dorico, il pubblico ministero della Procura dorica ha già esercitato l’azione penale e il Giudice dell’udienza preliminare ha disposto il giudizio. Lo scorso 22 ottobre si è tenuta la seconda udienza dibattimentale innanzi al Tribunale di Ancona, in composizione collegiale. Nei confronti delle restanti persone denunciate è stata già fissata la data dell’udienza preliminare. Gli altri indagati hanno visto le loro posizioni stralciate con trasferimento del fascicolo ai Tribunali di Bologna, Monza e Prato.

Le investigazioni hanno permesso di individuare: ben 153 lavoratori irregolari per i quali sono stati omessi il versamento dei contributi e delle ritenute Irpef, ma anche 131 milioni di euro di fatture false con la conseguente evasione dell’iva per 28 milioni di euro, con 66 milioni di euro di base imponibile segnalata per il recupero a tassazione.

L’operazione denominata “Shipyard” (“cantiere navale”) è stata avviata a seguito di una specifica attività di analisi sulle numerose imprese operanti nell’ambito dell’area portuale a seguito della differente impostazione della catena produttiva della Fincantieri Spa, risultata estranea ai fatti d’indagine, con il maggiore ricorso a ditte in appalto e conseguente riduzione dell’organico dei lavoratori diretti, all’inizio delle indagini di poco superiori alle 600 unità, rispetto alle oltre 2mila degli operai delle ditte appaltatrici. Tale contesto è stato oggetto negli anni scorsi anche di un tavolo tecnico tra il Prefetto di Ancona, le Autorità locali e le organizzazioni sindacali di base. Le Fiamme Gialle hanno studiato i rapporti tra i soggetti economici interessati alla specifica attività di lavorazione, oltre 250, indirizzando l’attenzione ai collegamenti tra “gruppi di imprese” che orbitavano negli ambienti di lavoro della cantieristica navale, nei cantieri di Ancona, Marghera, Monfalcon, Livorno, Muggiano e Sestri, nonché presso il cantiere navale di Fiume (Croazia).

I successivi analitici riscontri hanno consentito d’individuare, grazie al coordinamento della Procura, un redditizio sistema illecito ben architettato a tavolino. Quest’ultimo era incentrato su un “Consorzio” avente sede nella provincia di Ancona, che era in grado di presentare normalmente l’offerta più vantaggiosa, a seguito delle richieste di preventivo che la Fincantieri, di volta in volta, richiedeva a diverse imprese. Il Consorzio delegava poi l’esecuzione dei lavori alle proprie consorziate, sette delle quali sono risultate, però, amministrate da “prestanome” e prive di una struttura operativa, organizzativa e finanziaria, dunque mere cartiere.

Tali società cartiere, dopo aver accumulato debiti per oltre 16 milioni di euro nei confronti degli enti assicurativi/previdenziali (soprattutto Inps) e dell’erario, cessavano l’attività per essere sostituite da nuove imprese costituite ad hoc per il medesimo scopo. Alcune di queste ditte eleggevano la propria sede legale e amministrativa nello studio di un consulente fiscale nel Salernitano, segnalato ai fini della normativa antiriciclaggio, al quale veniva affidata la gestione della contabilità. La sede era lontana con il preciso intento di spostare la competenza dei controlli e rendere difficoltosa l’individuazione del sistema di frode in essere.