
L’ambulatorio considerato abusivo era in via Martiri della Resistenza
Aveva problemi di dentatura quando si è rivolta in uno studio dentistico che aveva davanti casa. Mesi dopo aveva scoperto che non avrebbe avuto l’abilitazione ad esercitare. Sulla porta dell’ambulatorio aveva trovato un cartello che indicava la scritta "lavori in corso". Lo specialista aveva smesso di rispondergli al telefono. Alla paziente, una 45enne anconetana, sono rimasti i danni alla bocca per un lavoro iniziato a gennaio del 2019, fatto di tre devitalizzazioni che non avrebbe dovuto fare e quattro ponti, mai finito. Dopo il danno anche la beffa: il pagamento di quasi 9mila euro per aver attinto ad un finanziamento con cui aveva saldato tutto in anticipo e che comprendeva anche delle cure per il marito che però non ha mai iniziato.
La coppia non sarebbe l’unica beffata da un 56enne anconetano che si sarebbe spacciato per dentista, poi sparito dalla circolazione a dicembre 2019, avviando un’attività in via Martiri della Resistenza. La paziente e il marito hanno fatto finire a processo il 56enne, dopo aver sporto denuncia, con l’accusa di esercizio abusivo della professione, lesioni personali e truffa. La coppia, parte civile con l’avvocato Maurizio Miranda, ha anche testimoniato in tribunale il calvario vissuto.
Ieri è toccato all’imputato, difeso dall’avvocato Davide Toccaceli, parlare in aula davanti alla giudice Maria Elena Cola. "Non ho mai detto di essere un dentista – ha spiegato il 56enne – sono un imprenditore che ha aperto uno studio dentistico autorizzato e regolare con medici abilitati. Io ho solo organizzato la struttura ma non ho mai messo le mani in bocca a nessuno. La signora era arrivata con una cattiva condizione, aveva solo 4 denti. Le è stato detto di fare una Tac, è stata visitata da un medico dello studio e gli è stato fatto un preventivo per una protesi combinata che ha accettato. Una protesi fatta in laboratorio, non da me. Una dottoressa poi gliela ha applicata. Dopo un po’ di tempo ho deciso di chiudere la struttura, non c’erano più i presupposti per tenerla ma non sono scappato. Ho contattato tutti i pazienti per far finire i lavori ad un esterno. Anche quella paziente lo avrebbe potuto fare, se c’erano da pagare altri soldi li avrei messi io. Mi dispiace per il disagio che ha subito ma non ho fatto mai l’abusivo". L’imputato si è mostrato disponibile ad accollarsi le spese sostenute dalla paziente dopo la chiusura. La giudice ha rinviato all’udienza del 18 dicembre la discussione e la sentenza che avrà un altro peso se ci sarà stato un risarcimento.