REDAZIONE ANCONA

L’abate Leoni e la sua enciclopedia sulla storia di Ancona scritta dal 1810

Tra le perle più preziose della Biblioteca comunale Luciano Benincasa vi sono quattro volumi scritti dall’abate Leoni dal 1810 al 1815 dedicati alla storia di Ancona dalle sue origini al XIV secolo. Un’opera enciclopedica di grande valore storico, edita da Baluffi anconetano, che espone nei più minuti particolari le vicende e gli uomini di Ancona nei secoli, i suoi monumenti e i suoi palazzi. La cronaca è arricchita da "un ristretto di storia generale de Consoli, Imperatori, Re e Sommi Pontefici, cui Ancona nelle varie vicende fu soggetta". "E’ incredibile quanto fu laboriosa la mia occupazione, quanto diuturno e grave il mio studio nel disotterrare tanti monumenti i più reconditi, rintracciare tante memorie le più trasandate, discernere il vero dal falso, la luce divider dalle tenebre e fra le tenebre profondamente sepolta rinvenire la verità".

Così il Leoni scrive nella presentazione del suo lavoro per il quale si avvalse di tutto quanto fosse stato scritto sulla città sino a quel momento e di quanto fosse in possesso delle famiglie nobili anconitane. Dai Ferretti la storia di Ancona di Tarquinio Pianoro, dagli Antiqui quella di Lando Ferretti, dai Fatati quella di Lazzaro Bernabei oltre a tante altre opere scritte da autori ignoti. Il Leoni si avvalse poi di pergamene e opere conservate negli archivi e nelle biblioteche degli istituti religiosi e nelle diocesi della Marca.

Nei quattro volumi ogni capitolo è preceduto da un sommario con tutti i temi in esso contenuti per facilitare il lettore nella ricerca dell’argomento desiderato. Leoni inizia la sua avventura scrivendo sulle origini della città, fondata dai Siculi e civilizzata dai Dori; sul motto scritto sulla stemma, città fedele a Roma e sulla sua bandiera d’oro. Tra i temi più interessanti il racconto della scoperta, fatta dal Leoni con l’archeologo milanese Carlo del Majno Ivagnez, dei resti dell’anfiteatro romano all’epoca inglobato nel palazzo dei Conti Bonarelli sotto il colle Guasco. Invitati dal conte a visitar l’arco collocato nelle cantine del palazzo si resero subito conto di trovarsi dinnanzi ad un imponente ingresso di epoca romana.

Fu grazie a questa scoperta che i resti dell’edificio furono, negli anni seguenti, recuperati, protetti e restituiti alla città. Ma anche grazie alla costituzione di una associazione di cittadini che a proprie spese contribuirono agli scavi per riportare alla luce quanto il tempo aveva sepolto. Un atto d’amore nei confronti della propria città che sarebbe bello riscoprire.

Claudio Desideri