REDAZIONE ANCONA

"Noi, alcolisti anonimi in cerca di salvezza Vite buttate via per colpa di quel mostro"

Siamo stati in uno dei tanti incontri serali che si tengono a San Cosma in corso Mazzini. Ecco le storie di chi sta provando a uscirne

di Nicolò

Moricci

uando bevi, ti senti Dio, credi nella tua capacità di dire basta, ma non è così. Non sei tu a decidere quando smettere, è l’alcool a vincere finché non ti rendi conto di avere una malattia". Ci si ascolta per ore, nei gruppi A.A. (Alcolisti Anonimi), perché la condivisione agevola il percorso verso l’accettazione. "All’inizio c’è vergogna e paura di uscire allo scoperto. Rifiutavo di dire che fossi alcolista, non mi sentivo tale. Ripetevo di non essere come loro" racconta Ivo (nome di fantasia, come tutti gli altri, ndr), da 2 anni nel gruppo. "Arrivavo agli incontri, mi sedevo e scaldavo la sedia solo per illudermi di affrontare il problema. Non riuscivo a vedere le mani tese intorno a me pronte ad offrirmi aiuto". L’anziano Angelo strappava "le carte dei ricoveri nelle cliniche. Non l’accettavo, poi capii che la tua vita la cambi solo da sobrio". Saggezza e umiltà: "Prima sentivo di essere il comandante della nave, ora sono il mozzo di una nave che non c’è. E va bene così, sto meglio". Angelo abbassa la mascherina e sorride. Quando si pronuncia la parola "Passo" l’intervento è finito. A quel punto, si ringrazia all’unisono: "Grazie Angelo". E via così con un’altra storia. Ognuno arriva e lascia il gruppo quando vuole, nessun obbligo né quote associative, ma va rispettato l’anonimato. Niente foto né cognomi. Anche se poi, tutti, tra loro, si conoscono. Fuori dalla parrocchia di corso Mazzini, prima dell’incontro delle 21, si parla e si scherza normalmente. Pacche sulle spalle, gente normale, con vite normali ed esistenze al limite. Loro sì che hanno visto la morte in faccia. La morte compagna di viaggio come l’alcool. Nella stanza, due moderatori (alcolisti) siedono al centro, leggendo testi e domandando se qualcuno voglia commentare. "Sono Giovanni e sono alcolista. Bevevo per anestetizzarmi, rifiutavo la vita. Mai avuto paura di morire – dice – Più bevevo, più ero un vegetale". Ora, riflette su un paradosso: "Grazie all’alcolismo (e ad A.A.) mi sono guardato dentro e oggi sono una persona migliore". Un percorso, difficile. Mai abbassare la guarda, la ricaduta è dietro l’angolo. Giulia beveva "da sola fino a star male – ricorda – ma alle feste fingevo di essere astemia. Ero una bevitrice solitaria. Così facendo, pensavo di essere furba, che nessuno avrebbe mai capito il mio problema. Ma lo si intuiva. Bevevo per paura, fragilità, ansia, senso di colpa. Bevevo sempre, quando ero felice e quando ero triste". Poi, Giulia si avvicina ad A.A.: "Decisi da sola. Mio marito mi scoraggiava: ‘Che ci vai a fare’ diceva. Invece, qui ho trovato l’amicizia e adesso sono serena".

Gabriele racconta di "una vita piatta, piena di sbornie secche", che gli facevano sognare l’alcool. "Ho rischiato di morire due volte, cercavo il mix perfetto con le droghe". Una vita di "eccessi, bugie, e risse. Mi dicevo che sbagliavo solo se esageravo, ma che altrimenti non avevo alcun problema. Credevo di essere al centro del mondo, il mio egoismo annullava gli altri. Non toccavo mai il fondo. Sai tutti quei dogmi che ti inculcano in testa? Che l’uomo non chiede, che non si piange e che si vince soltanto? Ecco, io ero quello". A distanza di tempo, Gabriele è cambiato e oggi sì che è davvero forte e vincente. Non come quando – da ubriaco – prendeva a pugni le persone. Il segreto? "Volontà e speranza. Non credevo che ascoltare gli altri sarebbe servito a cambiare il proprio pensiero. Ho cominciato a fidarmi. Non so se mai uscirò da questo incubo, ma prometto che farò del mio meglio".