MARINA VERDENELLI
Cronaca

"Per la sua Ancona papà sbatté i pugni sul tavolo"

Arianna, figlia di Alfredo Trifogli, il sindaco simbolo del terremoto del 1972 "Il Comune gli attribuisca ciò che merita". In città non ha neanche una via

di Marina Verdenelli

Mezzo secolo è passato ma la città non ha dimenticato. Compie cinquant’anni il terremoto di Ancona e la figura che più di tutti è legata a quelle scosse, iniziate il 25 gennaio del 1972 e arrivate fino al 14 giugno con quella più forte, è il sindaco Alfredo Trifogli. Morto nel 2013 all’età di 93 anni la città lo ricorda sempre con affetto. Un affetto sentito anche dai suoi familiari, come la figlia Arianna che alla viglia dell’anniversario che cambiò la storia di Ancona auspica "in un doveroso e tangibile riconoscimento". Il Carlino ha voluto sentirla per un ricordo.

"E’ un desiderio condiviso da molti cittadini – spiega Arianna Trifogli – auspico che il Comune di Ancona attribuisca a mio padre, artefice della lungimirante gestione e ricostruzione della città un doveroso riconoscimento". La città non ha una piazza che ricorda l’ex sindaco, nemmeno una via, solo il polo universitario di Monte Dago ma si potrebbe fare di più. Con la figlia abbiamo ripercorso quegli anni. "Il terremoto del 1972 fu uno dei momenti più drammatici della storia recente di Ancona – dice Arianna -. A quel tempo mio padre era sindaco e si trovò a dover gestire la sua città durante una crisi sismica che sembrava dovesse durare poco tempo, e che invece si protrasse per un anno intero. Non ci furono vittime ma i danni furono ingenti. Da quella prima tragica scossa del 25 gennaio per lui ci fu un solo obiettivo: restituire Ancona ai suoi cittadini". Trifogli si mise subito al lavoro per riportare il prima possibile la vita degli anconetani alla normalità "spendendosi indefessamente – osserva la figlia - giorno e notte per risollevare le sorti della sua città, organizzando numerose riunioni al Comune e dormendo con una brandina nelle stesse sale comunali". Per questo ancora oggi la città e non solo lo ricordano come "il sindaco del terremoto". "Consapevole di essere il responsabile della città, mise da parte la paura e si prodigò immediatamente per sanare le ferite del capoluogo – sottolinea la figlia -. Riuscì a far mantenere in funzione tutti i servizi pubblici essenziali, dagli ospedali ai trasporti, dalla luce al gas. Rifiutò per Ancona soluzioni provvisorie suggerite dal Governo volendo avviare invece un’opera di reale risanamento per la ricostruzione della città. Ebbe il coraggio di resistere ad offerte-tampone. Si doveva trovare un rifugio immediato agli sfollati. Grazie alla collaborazione con l’ammiraglio Ferrari Aggradi, suo amico, furono allestite dalla Marina militare delle tendopoli, la prima in una notte sul monte Cardeto, poi al campo sportivo Dorico, per 10 mila persone, alla Caserma Stiepovic, al campo sportivo di Vallemiano, al campo sportivo dei Salesiani. 104 vagoni furono messi a disposizione dalle ferrovie dello stato, con capacità di accoglienza di 6mila persone e la nave traghetto Tiziano. Trovò spazi negli alberghi e nelle pensioni. Manifestò tenacia dichiarando che avrebbe combattuto fino all’ultimo affinché i quartieri del centro storico non fossero abbattuti, ma ricostruiti secondo la vecchia conformazione. La ricerca dei mezzi per ricostruire la città fu molto ostacolata. Il Governo avrebbe elargito pochi contributi, mio padre batté i pugni sul tavolo: non accettò i 40 miliardi stanziati e dopo vari viaggi a Roma riuscì ad ottenere 300 miliardi per la ricostruzione".