"Vi racconto il festival La mia generazione"

Intervista al direttore artistico Mauro Ermanno Giovanardi: "Si parte dagli anni Novanta e si arriva ai giovanissimi talenti di oggi"

di Andrea

Brusa

Mauro Ermanno Giovanardi, direttore artistico del festival La Mia Generazione oltre che voce della band milanese La Crus, cominciamo con il dare cinque definizioni a questa quinta edizione?

"Faticosa, perché come sempre abbiamo dovuto cambiare in corsa tante volte il cartellone, poi penso alla parola normalità perché segna il vero ritorno alla musica dal vivo senza restrizioni, ma anche giovanissima perché ho dato spazio a tanti talenti. E ancora, chiusura di un cerchio perché quest’anno si fa un punto di quello che è stato fatto e si lavora per dare possibilità alle nuove generazioni. Infine, la parola speranza e in questo caso non c’è nulla da spiegare".

Nella prima edizione siete partiti invitando i grandi protagonisti di quella stagione pazzesca che fu quella degli Anni Novanta. Con questa edizione si passa dalla sua generazione a quella dei giovanissimi: non è più tempo di nostalgie del passato?

"Ho sempre voluto che questo festival non diventasse la retorica di quanto eravamo bravi, ho sempre cercato di affiancare artisti capaci di guardare avanti. Stavolta abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti, invitando giovanissimi che hanno a che fare in qualche modo con quel passato ma che sono capaci di raccontare il momento storico in cui vivono. Per loro è anche una grande opportunità per farsi vedere da headliners di livello, giocandosi le proprie carte".

Ma in questi giovani cosa rivede di quei favolosi Anni Novanta?

"L’intensità, la passione e un approccio diverso da altri giovani di questo periodo: oggi molti hanno un atteggiamento superficiale, è come se scrivessero spot pubblicitari, canzonette usa e getta, spesso banali. Chi ho chiamato ama raccontarsi in modo più intellettuale e letterario".

Raccontiamo in breve gli headliners di questa edizione cominciando dai Casino Royale?

"Quando ho visto che erano usciti con un nuovo disco, mi sono detto: ‘Non puoi perderli’. Sono curioso di sentirli dal vivo con questa nuova veste fatta anche di archi".

Poi gli Zen Circus...

"Una rock band che non fa parte della prima nidiata degli Anni Novanta, ma capaci di diventare qualcosa di importante. Ci tenevo che ci fossero. Mi sarebbe piaciuto sentirli nel duetto con Motta, ma non è stato possibile".

Cristina Donà è invece un’amica con cui ha condiviso tanti anni di musica...

"Artisticamente parlando, la adoro. E’ una delle voci più belle e interessanti della musica italiana. Siamo praticamente cresciuti insieme, lei ha aperto una trentina di live dei La Crus e l’ho vista crescere concerto dopo concerto".

Ci dobbiamo aspettare qualche altro nome nel cartellone?

"Una sorpresa ci sarà, ma proprio perché è una sorpresa non posso dire nulla".

Non solo musica, ma anche la mostra personale del grande fotografo del rock Guido Harari che è già aperta alla Mole...

"Guido arrivò alla Mole assieme a me, per il primo anno del festival e sono orgoglioso che da quel seme ora ci sia qui la sua prima antologica. Per questo, il festival chiuderà domenica in mostra: ci saremo io, Guido, la bravissima Giulia Cavaliere e gli artisti che vorranno fermarsi a parlare delle sue fotografie. Il fatto di chiudere questa edizione, così come iniziammo la prima, con la mostra di Guido Harari, mi sembra perfetto. Quando 5 anni fa pensai a come raccontare quella stagione musicale nelle sue varie forme, pensai subito a Guido Harari, perché era l’occhio più autorevole, aveva lavorato con tutti i più grandi, e ricordo che il primo servizio fotografico fatto con lui per i La Crus mi emozionò molto. Sapere della sua magnifica personale proprio alla Mole mi ha inorgoglito molto".

Sono tempi di restrizioni economiche anche per i festival: c’è qualche artista a cui aveva pensato e che invece non è riuscito a inserire nel cartellone?

"Doveva essere un festival con un cast quasi tutto al femminile. Il sogno proibito è stato Patti Smith, siamo rimasti in ballo per 4 mesi ma poi il cachet era troppo alto. E poi, Anna Calvi, ma anche Beth Gibbons dei Portishead ma sono entrati in studio per il nuovo album e non se n’è fatto più nulla. Il sogno inarrivabile, invece, è stata Pj Harvey. Ma ho una certezza...".

Ce la svela?

"Si possono fare grandi festival anche con budget ridotti".