Anche per Picenambiente i compensi sono da riversare al Comune

Spunta un documento in cui si legge che i 12.500 euro lordi del presidente si azzerano perché la somma va girata all’ente

È un pozzo senza fondo, quello da cui emergono nuovi interessanti sviluppi sul caso Picenambiente. Si parla, ancora una volta, dei compensi percepiti da Catia Talamonti mentre era presidente della società partecipata. Nei giorni scorsi si è ampiamente discettato sull’ipotesi del presunto conflitto d’interessi data l’esistenza di un contenzioso che coinvolge la stessa Talamonti, relativamente al trattamento economico citato. Retribuzioni annue che, secondo un parere della stessa Picenambiente, sarebbero dovute andare nelle casse dell’ente pubblico. Nello specifico il documento, risalente al 2019, specifica che il compenso alla carica di presidente, ovvero 12.500 euro lordi, si azzera, in quanto deve essere riversato direttamente al comune di San Benedetto, ad eccezione dei rimborsi forfettari. Quindi se così fosse Talamonti, che oggi è dirigente comunale al bilancio, dovrebbe trasferire le somme alla pubblica amministrazione di appartenenza, in virtù del principio di ‘onnicomprensività’ della retribuzione. Un concetto che è stato richiamato anche dall’avvocatura comunale, e precisamente in risposta alla lettera del sindaco Spazzafumo, con cui questi, il 24 agosto, cercava un parere sull’opportunità di avviare un’azione legale nei confronti della Talamonti. E l’ufficio affari legali affermava che sarebbe stato più opportuno intentare un’azione giudiziaria nei confronti della Picenambiente, suggerendo però di aspettare l’esito dell’istruttoria avviata dalla Corte dei Conti nel 2017. Una pratica di cui il vertice comunale era al corrente, considerando che lo scorso 12 marzo in viale De Gasperi veniva protocollata una nota della magistratura contabile. Insomma, la trama si è infittita, e non poco. Talamonti, va ricordato, ha istruito la delibera sul bilancio consolidato approvata a settembre: delibera in cui si parla di società partecipate e controllate. L’idea dei sei consiglieri, e soprattutto di De Vecchis, è che Talamonti non avrebbe potuto occuparsi di questa delibera, vista la diatriba sui compensi, peraltro nel mirino della Corte dei Conti. Per questo, ora, la maggioranza chiede che la dirigente non si occupi più delle partecipate.

Giuseppe Di Marco