Fummo i primi a coltivare le patate

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Soprattutto nelle Marche la coltura della patata, “dono prezioso ma poco gradito” a dirla con Luigi Rossi, stentò a battere sulla tavola la concorrenza del mais. Ci riuscì la grave carestia degli anni 176374, che portò alla fame le popolazioni dell’Italia centro-meridionale. Il primo a introdurre in quegli anni nelle Marche meridionali le patate fu, come scrisse il celebre agronomo Orazio Valeriani, mons. Bartolomeo Bacher “agronomo sommo, agricoltore pratico” a quel tempo vicario generale dell’arcivescovo card. Paracciani. Nelle sue terre in zona Pescolla di Porto Sant’Elpidio che aveva acquistato quando la sorella sposò un Palmilj elpidiense, aveva avviato una vasta bonifica, rendendo fertili appezzamenti fino ad allora incolti perché poco produttivi. In una lettera all’amico Moschetti di Fermo del 1778, racconta dei suoi metodi di coltivazione innovativi, elencando l’uso alimentare della patata, della quale auspicava la coltivazione e il commercio. La lettura della lettera fa comprendere non solo la personalità dell’agronomo e del pratico imprenditore agricolo, ma anche dell’esperto di culinaria: delle patate elenca il possibile uso a tavola quando “lessate sbucciate e schiacciate” possono essere mescolate con farina di grano per farne pane, oppure per farne “maccheroni alla foggia di quei che si dicon di Napoli”, o ancora “tagliolini, gnocchi e maccheroni casarecci”, oppure per farne “biscotti, ciambelle e paste che ben si inzuppano in brodo e in ogni altro liquore”. Inoltre ne sottolinea la facilità di cottura, in quanto la patata può essere mangiata “lessa in acqua o rostita sopra la brace o sotto la cenere come la castagna” e “si congia bene in insalata e riceve qualunque condimento”. Da esperto di agricoltura e di economia, pur elogiandola, afferma che non potrà mai sostituire il grano, ma “se la raccolta del grano o granturco è scarsa” si può avere un “terzo genere da supplire al bisogno e alla sussistenza specialmente dei contadini”. Con lui e grazie ai consigli del fratello Carlo, agronomo in contatto con le migliori accademie del tempo, le terre dell’allora Porto di Sant’Elpidio divennero fertili. Poi il Bacher, nominato vescovo di Ripatransone, le vendette per acquistarne altre sulla collina di Grottammare, che, grazie alle sue capacità, divennero altrettanto fertili: sono tuttora visibili i terrazzamenti e gli agrumeti da lui impiantati.

Giovanni Martinelli