REDAZIONE ASCOLI

La diffamazione corre sui social. Altre tre denunce nel Piceno, si sottovalutano post e commenti

I casi che giungono alla Procura sono innumerevoli e sfociano in tanti processi Si tratta infatti di uno dei reati più commessi, anche nella nostra provincia.

La diffamazione corre sui social. Altre tre denunce nel Piceno, si sottovalutano post e commenti

Diffamare qualcuno è un reato e può costare caro a chi lo commette, sia in termini di condanna penale che di risarcimento della persona a cui è stata lesa la reputazione. Farlo attraverso il mondo virtuale dei social media è considerato dal legislatore come una aggravante e quindi può costare di più sia penalmente che economicamente. Eppure questo concetto è ancora difficile farlo comprendere a tutti coloro che si mettono a scrivere praticamente di tutto sui social come Facebook, Instagram e Tik Tok. In questo fine settimana la Polizia postale della Questura di Ascoli ha individuato tre persone ascolane indagate per diffamazione a mezzo social media. Ma le denunce che giungono alla Procura della Repubblica sono innumerevoli e sfociano in tanti processi. La diffamazione a mezzo internet è infatti uno dei reati più commessi, anche nella provincia di Ascoli. Su queste pagine ci siamo occupati di tanti processi per diffamazione che hanno coinvolto anche politici, come il sindaco Marco Fioravanti, il senatore Guido Castelli, la moglie Anna Capriotti, l’assessore regionale Andrea Antonini, etc.

Basta un commento o addirittura un banale ’like’ su un pensiero sopra le righe e si può finire sotto processo. Per aiutare a comprendere, va spiegato che se si scrive qualcosa su Facebook, ad esempio, la platea di soggetti che lo possono leggere è molto alta e a ogni condivisione la cosa diventa esponenziale. Su Instagram la cosa è addirittura più grave perché inserendo un hashtag nella didascalia del proprio post, questo assume fin da subito una grande portata mediatica. E’ quanto accaduto ad una donna ascolana che nel pubblicare un commento critico sul lavoro di un centro estetico è finita sotto processo. E’ finita in tribunale anche una critica rivolta ad un fotografo sulla piattaforma ’Google My Business’ che raccoglie giudizi su svariate figure professionali. Non sono immuni da rischio querele i commenti sui gruppi WhatsApp. Ad ogni modo, la legge considera la diffamazione sui social come quella che viene realizzata a mezzo stampa, e quindi potenzialmente più pericolosa della ’semplice’ diffamazione. Il consiglio, dunque, anche per esercitare il diritto alla critica o fare satira, è quello di prestare attenzione a quello che si scrive, non utilizzare termini offensivi, citare solo fonti attendibili, verificare l’effettivo interesse pubblico di ciò che si scrive.

Peppe Ercoli